mercoledì 29 luglio 2009

Storia: IL MONDO TRA LE DUE GUERRE. LA GRANDE CRISI E I PRIMI ANNI TRENTA

LA GRANDE CRISI (1929-1933): la ripresa delle attività produttive tra il 1925 e il 1926 fu di breve durata. La clamorosa caduta delle azioni e dei titoli, verificatasi tra il 23 e il 29 ottobre 1929 alla borsa di New York, segnò l’inizio della grande crisi. Gli effetti di una crisi del credito si intrecciarono rovinosamente con quelli di una crisi di sovrapproduzione. Tutti i titoli di borsa crollarono, centinaia di migliaia di risparmiatori furono ridotti in rovina. L’amministrazione repubblicana presieduta da Herbert Clarck Hoover non seppe far altro che assumere drastiche misure protezionistiche. Il risultato fu che in tutti i paesi le difficoltà monetarie paralizzarono la produzione, e l’intero sistema dell’economia intercontinentale ne risultò dissestato. Nel settembre 1931 il governo di Londra abbandonò il regime aureo e deprezzò la sterlina del 30%. Nel 1932 la crisi toccò il fondo. La produzione mondiale calò del 40% nei confronti di quella del 1929. la disoccupazione si impennò: raggiunse il 22% negli USA, il 17% in Germania, il 15% in Gran Bretagna. Solo l’URSS fu risparmiata dalla catastrofe. Intorno al 1933-34 si ebbero i segni di una lenta e faticosa ripresa; nel 1937 si raggiunse una momentanea stabilizzazione. Tutti i ceti furono colpiti dalla crisi. Fra il 1930 e il 1932 la Gran Bretagna, con la conferenza di Ottawa, stabilì rapporti economici privilegiati con i paesi del Commonwelth e divenne il centro di un sistema di scambi protetti. La svolta impressa dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt significò il tentativo di raggiungere di nuovo la piena occupazione negli USA proponendo un modello di economia guidata che rompeva la tradizionale concezione liberalista dello Stato. Nel 1933 in Germania Hitler assumeva il potere e Mussolini in Italia reclamava la revisione dei trattati di pace.

NEL CORSO DELLA CRISI EMERGONO LE NUOVE LINEE DELLA POLITICA MONDIALE: IL NEW DEAL; IL COMMONWELTH; L’AGGRESSIONE FASCISTA E NAZISTA; I FRONTI POPOLARI; L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELL’URSS: nel corso della crisi gran parte dei ceti medi accorsero a consolidare le basi dei partiti autoritari e nazionalisti, quali il fascismo e il nazismo. Con il New Deal l’economia tendeva a riassestarsi, nel Commonwelth la crisi accelerò i processi di liberalizzazione. In Europa si delinearono gli schieramenti dell’ormai imminente secondo conflitto mondiale. Nell’ottobre del 1933 la Germania si ritirò dalla Società delle Nazioni e nell’aprile 1935 reintrodusse la coscrizione obbligatoria. Nell’autunno del 1936 le truppe ribelli del generale Francisco Franco costituirono il primo nucleo d’un governo che al termine di una lunga guerra avrebbe imposto alla Spagna una dittatura fascista. Negli stessi mesi venne stipulata l’alleanza tra Germania nazista e Italia fascista, ben presto estesa, con il Patto Antikomintern, al Giappone. Anche l’Unione Sovietica fu toccata dalla grande crisi, per quanto marginalmente.

LA PRESIDENZA DI FRANKLIN DELANO ROOSEVELT: IL NEW DEAL : le elezioni del 1932 portarono alla presidenza degli USA Franklin Delano Roosevelt, del Partito Democratico. I primi interventi segnarono la fine dell’assoluto liberismo, del laissez-faire, e l’avvio di un nuovo corso economico (New Deal) caratterizzato da un circoscritto intervento dello Stato. Si procedette innanzi tutto alla svalutazione del dollaro, con l’intento di ridurre il volume dei debiti e di rendere più competitive le esportazioni. Si mise mano alla ristrutturazione del sistema creditizio, ponendo sotto controllo la Borsa, il mercato azionario e le banche. Fu impiantato un completo sistema di assicurazioni; furono ricostruiti per legge i sindacati; all’aumento dei salari si fece corrispondere la diminuzione dell’orario lavorativo; furono concessi prestiti per l’acquisto delle case e per sussidi di disoccupati; si varò un imponente piano di lavori pubblici. A queste misure d’emergenza seguirono interventi più organici come: l’Agricultural Adjustement Act del maggio 1933 e il National Industrial Recovery Act. Una delle più significative realizzazioni del New Deal consistette nell’esecuzione dei lavori nella valle del Tennessee: si intraprese la ristrutturazione di un’area geologicamente degradata e colpita in maniera grave dalla crisi. Si intervenne con i rimboscamenti e con la canalizzazione dei corsi d’acqua, poi con l’impianto delle centrali idroelettriche e la graduale industrializzazione del territorio. Nel 1934 i prezzi accennarono a risalire. Nel 1935 la lotta contro la disoccupazione trovò uno strumento adeguato nella Work Progress Administration: i disoccupati non fruirono più di umilianti assegni di beneficenza, ma riscossero un salario in cambio di una qualsiasi provvisoria occupazione offerta dall’amministrazione. Nello stesso anno il Social Security Act istituì un sistema i assicurazioni contro la disoccupazione, l’invalidità e la vecchiaia.

KEYNES INTRODUCE ELEMENTI DI PIANIFICAZIONE DELL’ECONOMIA LIBERALE: la crisi del 1929 e la politica roosveltiana del New Deal deidero ragione all’economista inglese John Maynard Keynes il quale nei suoi scritti aveva previsto il crollo del sistema monetario internazionale fondato sul gold standard, cioè sulla convertibilità in oro della valuta, ed aveva auspicato l’avvento di un nuovo corso della politica mondiale. Le politiche deflazionistiche tradizionali tendevano soprattutto a contenere la spesa pubblica riducendo il potere d’acquisto dei consumatori e paralizzando la produzione. Era necessario consumare.

LA CRISI INNESCA IL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DELLE STRUTTURE. LA FUGA DALLA TERRA; LA CONDIZIONE OPERAIA; I NUOVO CETI MEDI; LA SOCIETà DEI CONSUMI: un vasto processo di trasformazione si delineò negli anni della crisi. Centinaia di migliaia di famiglie contadine furono costrette ad abbandonare la loro terra, a cercare nuovi insediamenti, emigrando in massa verso paesi più fertili. Tra il 1930 e il 1960 in Europa si assistè al netto declino della popolazione rurale, mentre mutavano le dimensioni delle aziende: avanzavano le grandi aziende capitalistiche ed anche i consorzi e le cooperative sostenute dallo Stato. Strade ed altre opere pubbliche, elettricità, telefono, cinema, radio modificarono le condizioni di vita nelle aree rurali. L’industria tendeva a concentrarsi in grandi stabilimenti: il modello statunitense fu quello della General Motors mentre quello italiano fu quello della FIAT. All’interno di queste grandi strutture la stessa condizione operaia subiva profonde trasformazioni. La dinamica dei primi decenni del secolo non solo accrebbe il numero degli impiegati e dei professionisti, ma impose una moltiplicazione delle competenze in campi che investivano l’economia, la comunicazione, l’applicazione dei risultati della ricerca scientifica alla produzione di serie. L’uso dell’automobile, la diffusione della radio e degli spettacoli cinematografici facilitarono la modernizzazione delle abitudini e un nuovo uso del tempo libero.

GLI EFFETTI DELLA CRISI NELL’AMERICA LATINA: fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento i paesi dell’America latina erano entrati in una fase di accelerato sviluppo economico. Il quadro della società era però rimasto segnato da grandi sperequazioni. Nella proprietà terriera prevalevano i latifondi: enormi aziende che controllavano centinaia di migliaia di ettari, rette dalle potenti oligarchie nazionali ed anche da capitalisti stranieri, soprattutto statunitensi ed inglesi. Le aziende erano orientate verso la monocoltura ed erano fondate su rapporti di lavoro di tipo semifeudale. Non mancavano risorse minerarie ed aree industrializzate: queste sorgevano presso pozzi di petrolio del Messico e del Venezuela e le miniere di rame del Cile e di stagno della Bolivia. La crisi del ’29 ebbe effetti devastanti sull’economia dell’America latina. Il crollo delle esportazioni rovinò le grandi aziende e la drastica riduzione delle aree messe a coltura svuotò le campagne. Alcuni paesi cercarono di reagire alla crisi e diversificarono la produzione. Sorsero, così, i primi nuclei di classe operaia. Nel corso degli anni Trenta, di fronte all’accentuarsi della pressione popolare si profilò una serie di soluzioni apertamente reazionarie o ambiguamente populiste. Si trattò di governi autoritari sostenuti da militari, dalle oligarchie terriere, appoggiati dagli strati più miseri della popolazione. Diverso il discorso che riguarda l’Argentina, ove, rimanendo intatta la facciata delle istituzioni rappresentative, il fronte popolare, negli anni Trenta, contrastò senza successo un blocco reazionario che intendeva allinearsi con il fascismo europeo. Epilogo di questa lunga lotta sarà nel 1943 il golpe militare di Juan Peron che impose la dittatura, un sistema di potere che garantiva gli interessi della borghesia nazionale e della classe operaia inquadrata e assisitita in organismi statali. La sola eccezione è costituita dal Messico, ove la democrazia si affermò con la presidenza di Lazzaro Cardenas che portò a termine un grande programma di riforme, distribuendo ai contadini una larga parte delle terre coltivabili e nazionalizzando la produzione di petrolio, strappata al capitale statunitense.

DALL’IMPERO COLONIALE AL COMMONWEALTH: un segno del profondo mutamento degli equilibri dell’Inghilterra era stato l’impetuosa avanzata dei laburisti, che divennero al posto dei liberali, i diretti antagonisti del Partito dei conservatori, coi quali si alterneranno, d’ora in poi, al governo del Paese. Nel 1931 James Ramsay MacDonald riuscì a porsi a capo d’un governo di coalizione nazionale che dovette rinunciare al gold standard e prendere atto del forte calo del valore del valore della sterlina su tutti i mercati. Il governo MacDonald si propose di uscire dalla crisi accordando tariffe preferenziali ai partners del Commonvealth. Nell’agosto 1932, gli accordi di Ottawa ridussero le tariffe doganali nell’interno del Commonwealth e elevarono dazi in difesa dei prodotti inglesi sui mercati industriali.

IN FRANCIA, CONTRO LA MINACCIA DELLA DESTRA, SI CONTRIBUISCE IL FORNTE POPOLARE: la crisi arrivò tardi in Francia, tra il 1931 e il 1932, ed ebbe un carattere meno drammatico di quello che aveva assunto negli altri paesi industrializzati. Tanto si dovette non solo alla solidità del franco sui mercati internazionali, ma anche al rilievo che il mondo rurale, radicato nell’autoconsumo, conservava ancora nella società francese. Nel mondo del lavoro erano forti due sindacati: la socialista Confederazione generale del lavoro e la Confederazione dei lavoratori cristiani sorta nel 1919. lo scontento fu inasprito dagli scandali finanziari e toccò il culmine il 6 febbraio 1934, quando a Parigi cortei di manifestanti puntarono sul palazzo del governo con l’intento dichiarato di porre fine al regime parlamentare. Nel luglio 1934 socialisti e comunisti sottoscrissero un patto d’unità d’azione nell’intento di raccogliere intorno alla loro alleanza anche le classi medie, sì da formare un fronte unico di difesa contro il fascismo. A ciò essi furono incoraggiati dalle decisioni del VII Congresso della Terza Internazionale che propose la formazione di fronti popolari capaci di appoggiare i governi borghesi contro il comune nemico fascista. Le elezioni della primavera 1936 segarono una grande vittoria del blocco costituito da comunisti, socialisti e radicali. I comunisti erano guidati da Leon Blum, i radicali da Edouardo Daladier e i comunisti da Maurice Thorez.

LA SPAGNA DALLA MONARCHIA AUTORITARIA ALLA REPUBBLICA: nella penisola iberica, Spagna e Portogallo erano rimasti paesi ancora in larga misura contadini, con un’agricoltura arcaica. Lo sviluppo industriale, limitato ad alcune zone di confine, aveva comunque consentito la formazione dei primi nuclei di proletariato operaio. La Spagna era governata, in teoria, da una monarchia costituzionale, ma il Parlamento era controllato dai liberali, rappresentati dall’aristocrazia terriera. Nella società civile si era formato un vasto fronte di opposizione, costituito dal Partito socialista e da un Partito comunista che riscuoteva scarso seguito tra gli strati popolari; era invece forte il movimento sindacalista della Union General de Trabajadores. In questo panorama assunsero un notevole rilievo le correnti anarco-sindacaliste raccolte nella Confederaction Nacional del Trabaio. Nel 1923 l’ufficiale Miguel Primo de Rivera scatenò un attacco contro il parlamentarismo, disperse le Camere e formò un direttorio militare che assunse il potere, ridusse al silenzio le opposizioni e governò con i decreti e con la polizia. In Portogallo nel 1926, un colpo di Stato instaurò una dittatura con Antonio de Oliveira Salazar. La crisi del ’29 ebbe gravi conseguenze sulla fragile economia iberica, provocando fallimenti a catena e disoccupazione. Le elezioni amministrative della primavera 1931 segarono una netta vittoria delle Sinistre: il re decise di rinunciare al trono e di abbandonare il paese. Il 14 aprile fu proclamata la Repubblica.

LA SPAGNA DAL “BIENIO NEGRO” (1934-1935) ALL COSTITUZIONE DEL FRONTE POPOLARE (1923): il governo che si formò in seguito alle elezioni del novembre 1933 era appoggiato dai moderati, cui si unirono i cattolici tradizionalisti guidati da Josè Marìa Gil Robles e gli elementi filofascisti che raccoglievano intorno al capo della Falange, Josè Antonio Primo de Rivera. Il nuovo gruppo dirigente revocò le disposizioni democratiche introdotte nel 1931, ripristinò i privilegi della Chiesa, limitò la libertà d’associazione, sottopose la stampa a censura. L’offensiva della Destra provocò in tutta la Spagna la protesta di larghe masse popolari. Nell’ ottobre ’34 uno sciopero generale si estese a quasi tutto il paese e la rivolta assunse intensità drammatica nelle Asturie, ove i minatori occuparono le fabbriche d’armi di Oviedo e di Trubia. La ribbelione fu soffocata nel sangue dal governo di Madrid. I morti furono 3000, 7000 i feriti, 30000 gli operai incarcerati. Alla durissima repressione, per la quale questo periodo è ricordato nella storia spagnola come il “Bienio Negro”, il ministero della Destra non seppe alternare nessuno di quegli interventi di politica generale che la situazione rendeva necessari; perciò il governo finì col perdere anche l’appoggio di quei ceti borghesi e di quegli ambienti finanziari e industriali che l’avevano sostenuto all’inizio del suo mandato.

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