mercoledì 29 luglio 2009

Storia: I MOVIMENTI DI EMANCIPAZIONE IN ASIA E IN AFRICA FRA LE DUE GUERRE

LA CRISI DEL DOMINIO COLONIALE: sin dai primi anni del dopoguerra si era delineata una profonda trasformazione degli equilibri politici mondiali. Negli anni che immediatamente seguirono il conflitto mondiale e la rivoluzione sovietica, agitazioni, proteste e guerre sconvolsero un arco di paesi che andava dall’Egitto alla Corea, rivelando come fosse entrato in crisi l’intero sistema dei rapporti costruito dalle potenze imperialistiche negli ultimi secoli. Gli Stati Uniti si volsero ad un dominio esclusivamente economico. L’Inghilterra preferì rinsaldare i vincoli economici con i paesi dell’impero e al contempo ridurne la dipendenza politica, perfezionando i rapporti con i partners del Commonwealth. La Francia, il Belgio e l’Olanda si chiusero in una resistenza passiva che contrastò duramente i movimenti di indipendenza. Le novità vennero dall’Italia e dalla Germania, in Europa; dal Giappone, in Estremo Oriente. Queste potenze, dopo il primo conflitto mondiale, innescarono di nuovo il processo dell’espansione movendo alla conquista dei territori considerati uno sbocco per la crescente disoccupazione o spazi vitali da inserire nelle traiettorie dei loro programmi imperialistici. Per quanto riguarda i movimenti di liberazioni africani e asiatici furono tutti guidati dai rappresentanti delle locali classi emergenti, da figli di notabili delle tribù o da esponenti della borghesia commerciale indigena. La fine del colonialismo non segno una frattura insuperabile nella storia del mondo contemporaneo. La modernizzazione del Terzo Monso si compì secondo i modelli derivati dall’Occidente.

LA RIVOLUZIONE IN CINA: LA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL 1912: intorno alla metà del XIX secolo la Cina, in conseguenza alla guerra dell’oppio, fu costretta ad aprire i propri mercati agli stranieri, ponendo così le premesse per la divisione dei suoi sterminati territori in sfere d’influenza gestite dalle potenze occidentali: alla Francia era stato ceduto il Tonchino, alla Russia i territori che si affacciavano sul mare di Ohotsk. La crisi si era aggravata nel 1894 con l’attacco del Giappone, costato alla Cina la perdita di Formosa nonché della Corea. Era venuto meno il controllo dei mari orientali. Ai primi del Novecento, la rivolta tradizionalista e xenofoba dei Boxers aveva profondamente turbato il paese, giustificando nuovi interventi delle potenze europee. Nel primo decennio del Novecento erano sorti un’industria di tipo moderno, prevalentemente tessile, e un proletariato locale, una borghesia poco numerosa ma influente ed i primi gruppi intellettuali che si erano avvicinati alla scienza e al pensiero dell’Occidente. Con Sun Yat-sen , nato da una famiglia di contadini, convertito al cristianesimo, laureato in medicina, ammiratore della cultura statunitense e dell’opera politica di Lincoln, si identificò il nemico della Cina nella dinastia mancese dei Qing. Nel corso del 1911 una serie di violente sommosse travolse l’Impero: il 12 febbraio 1912 fu proclamata la Repubblica democratica e Sun Yat-sen ne fu eletto presidente. Nello stesso anno, in appoggio al governo, si costituì il Guomindang, il partito del popolo, il cui programma si riassumeva in tre principi: autonomia nazionale, democrazia politica, eguaglianza sociale. La vittoria delle forze progressiste si rivelò però effimera, poiché i governatori militari delle province rimasero di fatto indipendenti e mossero gli uni contro gli altri : Sun Yat-sen dovette riparare in esilio e il paese fu devastato dalla guerra civile. In quegli anni la società cinese visse una staggione di profondo rinnovamento culturale. Negli anni dell’immediato dopoguerra cominciò a svilupparsi l’interesse per il marxismo: nel 1921 fu fondato il Partito comunista cinese che organizzò le forze operaie raccoltesi nei centri minerari e nei porti dominati dagli stranieri. Sun Yat-sen , tornato dall’esilio, riorganizzò il partito del Guomindang che fu democratico. Alla sua morte, gli successe il generale Chiang Kai-shek, un esponente della Destra nazionalista che non esitò a rompere l’alleanza con i comunisti e a organizzare contro di essi una sistematica persecuzione che gli valse tanto l’appoggio dei notabili rurali quanto quello della finanza internazionale. Nel giro di pochi mesi la repressione fu estesa alle città più importanti, il Partito comunista fu ridotto alla clandestinità e Chiang Kai-shek pose mano ad un programma di modernizzazione autoritaria.

LA NUOVA CINA: MAO ZEDONG; LO SCONTRO TRA COMUNISTI E NAZIONALISTI (1927 – 1934): negli ultimi mesi del 1927 i comunisti sconfitti da Chiang Kai-shek erano stati costretti a cercare rifugio nelle zone montagnose della Cina meridionale e centrale. Organizzarono centri di resistenza e le linee di una nuova strategia politica. Emerse la figura di Mao Tse-tung il quale si rese conto che in Cina il proletariato industriale costituiva l’esigua minoranza della popolazione e poteva agire con speranza di successo solo in qualche città e in aree che rimanevano marginali rispetto al paese. Mao capì che il compito storico dei comunisti cinesi era quello di mobilitare le masse contadine, offrendo loro, attraverso la lotta di classe, la liberazione dallo sfruttamento secolare della signoria terriera. Tra il 1927 e il 1934 Mao, rifuggiatosi nella zona montuosa del Jinggangshan, creò delle piccole zone di potere rosso nelle quali sperimentò una nuova forma di organizzazione statale. Mentre ad alcuni gruppi spettava la responsabilità della difesa, ad altri spettava il compito di trasferire la rivoluzione nelle coscienze. La rivoluzione culturale avrebbe dovuto gettare le basi ideologiche della nuova società comunista, aprendo a tutti la prospettiva d’una istruzione moderna e mettendo in discussione i valori e gli ordinamenti tradizionali. Nel novembre del 1931, nella regione del Jiangxi, veniva proclamata la Repubblica Sovietica Cinese degli operai e dei contadini e Mao Tse-tung ne era eletto presidente. Le operazioni militari condotte tra il 1931 e il 1934 dal Guomindang costrinsero i comunisti ad abbandonare le basi rosse e a intraprendere nel 1934 quella lunga marcia di 10.000 chilometri che consentì a Mao di trovare rifugio nelle regioni settentrionali dello Shaanxi. Mao riuscì a salvare il nucleo dirigente del Partito comunista e mantenne su di esso la sua personale egemonia.

IL GIAPPONE VERSO L’EGEMONIA IN ESTREMO ORIENTE: il Giappone moderno si era rivelato un paese costretto a sostenere il suo programma di industrializzazione con una politica d’espansione imperialista. Furono i contraccolpi della grande crisi a spingere i gruppi dirigenti verso la guerra. La caduta del prezzo della seta greggia e del riso, la paralisi dell’industria tessile provocarono un’impennata della disoccupazione e serie difficoltà per il mantenimento dell’ordine pubblico. La conquista della Manciuria fu considerata solo il primo episodio d’una lotta che si sarebbe dovuta concludere con la creazione di un vasto impero asiatico, capace di assicurare ai Giapponesi materie prime per le industrie, un mercato per i prodotti e vasti territori ove insediare l’eccedenza della popolazione. Questo programma, che prese corpo tra il 1931 e il 1936, era appoggiato oltre che dagli industriali e dall’esercito anche da vasti strati della popolazione. Nei primi anni Trenta i militari fecero sentire sempre più fortemente la loro influenza. Il loro punto di forza era la corte dell’imperatore Hirohito. Hirohito incoraggiò l’organizzazione di un apparato di consenso di tipo autoritario che mescolava al modello fascista le istituzioni patriarcali e l’ispirazione militarista del vecchio Giappone. Fu eliminato qul che rimaneva del sistema parlamentare; alla soppressione delle opposizioni seguirono la creazione di un partito unico e l’ordinamento dell’economia nazionale in forma corporativa. Nel 1936 i gruppi militaristi ebbero il sopravvento in tutto il paese. Il Giappone abbandono la Società delle Nazioni; si alleò con i nazisti tedeschi e i fascisti italiani; decise di spingere a fondo la propria avanzata in Cina, raggiungendo il corso del Fiume Azzurro. L’Unione Sovietica concesse alla Cina aiuti in armi e in altri materiali.

IL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NEL SUD-EST ASIATICO (INDOCIMA, INDONESIA): nella penisola indocinese negli anni Trenta entrò in vigore la nuova denominazione ufficiale di Thailandia. Il dominio coloniale si era rafforzato sin dalla seconda metà dell’Ottocento, nelle aree orientali e costiere della penisola, configurandosi nel contesto dell’Indocina francese con le province di Cocincina, Annam, Laos, Tonchino, ed estesa sino alla foce del Mekong con il protettorato sul regno di Cambogia. Dal complesso dei domini coloniali francesi dell’Indocina sorgeranno le repubbliche del Vietnam, quelle del Laos e della Cambogia. L’Indonesia aveva costituito il nucleo delle Indie Orientali olandesi. Tra il 1946 e il 1953, Sumatra, Borneo, Giava, Nuova Guinea, sottrattesi alla dominazione coloniale, formeranno la Repubblica indipendente dell’Indonesia. L’arcipelago delle Filippine era passato dal 1898 sotto la sovranità degli Stati Uniti, nel 1946 otterrà il titolo di Repubblica indipendente. Negli anni Venti e Trenta i primi partiti comunisti si affiancarono ai movimenti di riscossa legati alle idee del Guomindang di Sun Yat-sen. In Indocina, nel programma del comunista Ho Chi-Minh, i temi del rinnovamento nazionale e della lotta anti-imperialista si intrecciarono a quelli della distribuzione della terra. In Indonesia il movimento di liberazione contro gli olandesi trovò il suo animatore in un ingegnere giavanese, Akmed Sukarno, che seppe unire intorno ad un programma patriottico e interclassista gli islamici, i nazionalisti ed anche i comunisti.

LA LOTTA DELL’INDIA PER L’INDIPENDENZA. GANDHI: LA “NON VIOLENZA” E LA DISOBEDIENZA CIVILE: la fine della prima guerra mondiale trovò in India uno stato di agitazione repressa. L’industrializzazione si era estesa e la classe capitalistica indigena aveva accresciuto le sue ricchezze e il suo dominio. La maggior parte del popolo mirava ad alleggerire il peso che la schiacciava. I ceti medi intendevano compiere decisivi avanzamenti sulla strada dell’autogoverno. Gli Indiani, nella guerra mondiale, avevano contribuito in misura notevole contro la Germania. Nel dopoguerra, tuttavia, il governo di Londra aveva ripreso la sua politica tradizionale: da un lato non mancò di rispondere con la forza ai tentativi di insurrezione, dall’altro continuò ad offrire alla classe dirigente indiana la prospettiva dell’autogoverno anche se in forme circoscritte e graduali. A trasformare una situazione che sembrava evolversi secondo tempi lunghissimi intervenne la svolta provocata dall’opera di Mohandas Gandhi, detto il Mahatma (grande anima). Questi seppe dare un nuovo impulso ala lotta predicando una non violenza intesa in modo attivo. Gandhi seppe esprime l’ispirazione autentica dell’antichissima cultura indiana e della tradizione religiosa indù: Mahatma respingeva la civiltà industriale e la cultura politica dell’Occidente europeo. L’aspetto importante dell’opera di Gandhi è rappresentato dal fatto che egli riuscì a trasformare il Congresso Nazionale Indiano in un partito moderno, con la sue rete organizzativa, i suoi organi di finanziamento e soprattutto con la sua nuova base di massa. La lezione del Mahatma escludeva rigorosamente il ricorso alla lotta di classe e rifiutava ogni possibilità di dare alla rivoluzione nazionale la dimensione d’una rivoluzione sociale. Nel corso della lotta contro gli Inglesi, Gandhi non volle giungere alla rottura con i ceti abbienti e privilegiati che si erano costituiti nell’ambito della società coloniale, né volle correre il pericolo di vedere nascere un processo rivoluzionario incontrollabile ed opposto agli interessi di quelle forze sociali moderate che conservano un ruolo determinante nella direzione del Congresso anche dopo la sua riforma. Tra il 1927 e il 1930 la mobilitazione nazionale raggiunse in India un’intensità molto elevata. Gandhi sostenne la necessità di porre limiti alla lotta emarginando le correnti radicali. Dopo queste vicende il governo di Londra cominciò a considerare Gandhi come l’interlocutore col quale negoziare il trapasso dell’India ad un novo regime politico che garantisse gli interessi fondamentali di entrambe le parti in lotta. Il gruppo dirigente strettamente legato a Gandhi mantenne a lungo la propria egemonia, mentre le correnti radicali e progressiste rimasero minoritarie. Solo dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1947, si costituì l’Unione Indiana, una libera Repubblica associata al Commonwealth.

IL RISVEGLIO DEL MONDO ARABO E LA SPARTIZIONE DELL’IMPERO OTTOMANO: nei primi decenni del Novecento il movimento nazionalista arabo non era ancora sviluppato e le mobilitazioni di massa si svilupparono nel mondo islamico dopo la fine della grande guerra e rivelarono connotati fortemente tradizionalisti ed antioccidentali. Nel corso del conflitto mondiale la Gran Bretagna da una parte aveva stipulato con la Francia un piano di spartizione dell’impero ottomano che prevedeva l’assegnazione all’Inghilterra dell’Egitto, della Mesopotamia e della Palestina; alla Francia, della Siria e del Libano. Tali intese furono ratificate nel trattato di Sèvres. Dall’altra parte il governo di Londra aveva appoggiato la guerra contro i dominatori ottomani, mostrandosi favorevole alla creazione d’un ipotetico “Grande Regno arabo indipendente” che avrebbe dovuto comprendere l’Arabia, la Mesopotamia e la Siria. Si costituirono nei primi anni Venti due stati formalmente indipendenti : il regno dell’Iraq (1921) e l’emirato di Transgiordania (1921). La Siria ed il Libano rimasero sotto l’amministrazione francese. Più contrastata invece fu la sorte della Palestina. In questa regione, sin dal 1917, il governo britannico aveva riconosciuto al movimento sionista il diritto di creare una sede nazionale per il popolo ebraico. Risalgono infatti agli anni Venti i primi scontri tra i coloni ebrei e i residenti arabi per l’occupazione dei territori. Intorno al 1930 il Regno Unito dovette restringere il proprio controllo a poche aree costiere e fu costretto a prendere atto della costituzione d’uno Stato indipendente che prese il nome di Arabia Saudita il quale fu retto da una monarchia.

MODERNITA’ E TRADIZIONALITA’ IN IRAN E TURCHIA: già nel corso della guerra mondiale nelle regioni iraniche dell’impero ottomano si era avanzata l’influenza economica dell’Inghilterra, mentre le provincie orientali erano cadute sotto il controllo militare sovietico. Intorno all’antichissima tradizione iranica dopo il crollo dell’impero turco, ottenuto l’appoggio dell’esercito, si riuscì a impadronirsi nel 1925 del potere e a proclamare imperatore (scià) il generale Riza Khan Pahlawi. Questi formò un governo autoritario: pose mano a un vasto programma di lavori pubblici e promosse interventi sul piano dell’istruzione popolare e della sanità. Nel 1927 fu firmato con l’Unione Sovietica un trattato di non aggressione e di neutralità. Iran e URSS tendevano in questo modo a creare un’area medio-orientale libera dall’influenza inglese. La fine dell’impero ottomano provocò in Anatolia la reazione del nazionalismo turco che trovò il suo interprete nel generale Mustafa Kemal. Nel 1923 fu approvata la Costituzione che fondava la Turchia moderna: una Repubblica che univa istituzioni rappresentative a un’efficiente organizzazione autoritaria. Kemal avanzò un notevole programma di riforme: tutte le religioni furono poste sullo stesso piano, furono occidentalizzati il calendario e l’alfabeto e si abrogarono le tradizionali restrizioni contro le donne. Fu in seguito promossa l’agricoltura, incentivata l’industria e vennero attuate molte opere pubbliche.

LA PRIMA FASE DEL PROCESSO DI “DECOLONIZZAZIONE” IN AFRICA: nei decenni che precedono la seconda guerra mondiale, l’Africa nera rimase immobile contro il severo regime di sfruttamento coloniale; l’area settentrionale del continente ossia l’Africa sahariana e mediterranea fu scossa da movimenti di protesta e di lotta. Nel 1920 gli algerini organizzarono un partito comunista. Tra il 1921 e il 1926, Abd al-Krim capeggiò la resistenza contro Spagnoli e Francesi, mentre Omar al-Mukhtar combatteva una difficile guerriglia contro gli Italiani che tentavano di penetrare nell’interno del suo paese. Contro gli Inglesi si organizzò il partito della borghesia nazionale, il WAFD, che richiese la piena indipendenza del Paese. Tre anni di lotte costrinsero gli Inglesi a trasformare l’Egitto in uno Stato indipendente retto da una monarchia costituzionale.

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