QUALI RAGIONI INDUCONO IL NARRATORE A SCRIVERE IL ROMANZO?
La narrazione è condotta in prima persona; è Mattia Pascal, il protagonista, che raccontando ci fornisce il suo punto di vista interno con focalizzazione 0 (zero/onnisciente). L'onniscienza del narratore è dovuta dal fatto che lui racconta la sua storia a posteriori, quando questa è già successa; questo permette che al lettore vengano fornite anticipazioni degli avvenimenti che ne stimolano la curiosità.Mattia Pascal scrive, su invito di don Eligio, la sua biografia sotto forma di diario, rivolgendosi direttamente al lettore, dialogando persino con lui.L'ordine cronologico è regressivo, cioè lo scrittore ricorda fatti avvenuti in precedenza e va a ritroso nel tempo, salvo tornare al presente alla fine del racconto.
SUDDIVIDI E RIASSUMI L’INTRECCIO SECONDO LE TRE PRINCIPALI SEQUENZE CRONOLOGICHE IN UN TESTO CHE NON SUPERI LE 150 PAROLE E STENDI UNA BREVE RECENSIONE DEL ROMANZO. DAI UN TITOLO CALDO AL TESTO
Questo testo è possibile suddividerlo in tre sequenze principali:
1- Quando il protagonista è ancora Mattia Pascal
2- Quando il protagonista diventa Adriano Meis
3- Quando il protagonista torna ad essere Mattia Pascal
Il protagonista, Mattia Pascal, lavora in una biblioteca nel paese di Mirano, dove vive con il fratello e la madre vedova. Mattia Pascal narra delle sue prime avventure amorose, la prima con Oliva, da cui avrà un figlio, ma che non sposerà mai, perché già fidanzata con il signor Malagna, ed in seguito con Romilda Pescatore, la ragazza che inizialmente Mattia voleva far fidanzare col suo amico Pomino, ma che poi sposerà. Questo matrimonio è la rovina sia economica che psicologica di Mattia, perché causa una serie di disagi, procurati soprattutto dalla suocera Marianna Dondi la quale, insieme ad alcune disgrazie familiari, lo condurranno al punto di fuggire da casa pensando di crearsi una nuova identità lontano da Mirano. Nel frattempo vicino al canale di Miragno, viene trovato il cadavere di un uomo in cui tutti riconoscono Mattia Pascal. In un primo momento il signor Pascal decide di rientrare a Miragno, ma poi si rende conto che non e' il caso di tornare a casa e prende la decisione di cambiare vita. Mattia Pascal vive così per oltre due anni viaggiando senza meta, senza documenti, sotto il falso nome di Adriano Meis, ma dopo aver viaggiato per molte città decide di stabilirsi a Roma dove trova alloggio in casa del Signor Anselmo Paleari. Il Paleari vive con la figlia Adriana della quale, col passare dei mesi, il protagonista si innamora. In seguito Adriano Meis viene derubato in casa Paleari e quindi decide di inscenare nuovamente la sua morte e di tornare a Miragno per riprendersi la sua vera identità che aveva perso non a causa della sua presunta morte, ma per sua volontà. La prima tentazione di Mattia fu di riprendersi sua moglie ma una volta giunto a Miragno e giunto in casa di Pomino (ormai marito di sua moglie) vide una bambina, figlia dei due coniugi e quindi Mattia decide di non riprendersi sua moglie e la sua vita.
Un titolo “caldo” potrebbe essere: “Storia di un uomo e della sua doppia identità”
CARATTERIZZA, NELLE SUE DIVERSE INCARNAZIONI, IL PROTAGONISTA, DAL PUNTO DI VISTA FISICO, SOCIALE E PSICOLOGICO
Mattia Pascal (Adriano Meis): è il protagonista – narratore; un bibliotecario che svolge quotidianamente un lavoro normale, forse anche troppo; riflette sulle sue azioni, le giudica e le motiva; segue le vicende della sua vita, è partecipe del racconto e cerca di far luce nel groviglio dei casi, la sua figura perde ed acquista caratteristiche dei due personaggi che porta dentro di se, facendo apparire Adriano Meis come una figura disarticolata di uomo ombra. Il suo carattere gli impedisce di vivere al di fuori delle strutture sociali e dallo stato civile.Nei panni di Mattia Pascal appare come un uomo di carattere impulsivo, vivace, ma confusionario, a differenza di quando si “trasforma” in Adriano Meis, dove si scopre uomo molto sensibile; ama Adriana, donna che vorrebbe sposare, ma non può a causa della sua “non esistenza”.
ANALIZZA LE FIGURE FEMMINILI DEL ROMANZO:
Madre del protagonista: è una persona fiduciosa verso il prossimo, credente, chiusa ed introversa, affezionata alla sua piccola vita quotidiana. È semplice e dolce, non vuol mai far notare la sua presenza, quasi per non dare fastidio.
Zia scolastica: zia battagliera, fiera, che si contrappone alla figura della madre a causa delle sue scelte decise ed immediate.
Romilda: è la moglie del protagonista; è una ragazza vittima della perfidia della madre, che le impone di ingannare Mattia. Ha due figlie dal marito. È timida, gelosa e non sopporta le condizioni misere in cui è costretta a vivere, arrivando fino ad ammalarsi. Dopo la “morte” del marito, si sposa con un amico di lui (Pomino), dal quale ha una figlia. Ma il suo animo non è cattivo; infatti al ritorno di Pascal è quasi dispiaciuta per quello che gli è successo.
Marianna Dondi (vedova del pescatore): è la madre di Romilda; ha un temperamento intrigante e furioso, non sopporta il genero, che giudica inetto e scapestrato, perché non riesce a mantenere la sua famiglia, e quindi indegno di sua figlia. Fa diventare la vita di Pascal insopportabile. È dura con il genero anche quando questi ritorna al suo paese, avendo pensato, dopo la sua morte solo alle sostanze materiali, dimenticandosi del tutto della sua esistenza.
Signorina Silvia Caporale: ha anche lei vive in una camera nella pensione e da qualche lezione come maestra di canto. È alcolizzata e zitella, ha una personalità debole e ogni volta che rientra dopo aver bevuto o quando si dispera per la sua condizione di zitella ed il suo aspetto fisico tocca ad Adriana farle da “mammina”. È l’amante e la complice di Terenzio Papiano, dal quale è sfruttata; nell’imbrogliona il ruolo di medium, ma alla fine si ribella al suo sfruttatore per aiutare Adriano ed Adriana come può.
Adriana: figlia del Paleari, è l’affittuaria di Adriano Meis, del quale è innamorata. Ha una personalità molto sensibile, ma allo stesso tempo armata di innocenza e ansia. Manda avanti da sola la casa ed è dispiaciuta per il comportamento del padre; riesce a continuare il suo lavoro grazie anche alla sua fede nella religione. Non da molta confidenza, vuol nascondere il suo amore per Adriano Meis e non sopporta i soprusi di Terenzio.
Pepita Pantogada: nipote dello spagnolo, bella, con un carattere prepotente e forte.
TEMPO DELLA STORIA E TEMPO DEL DISCORO
Per quanto riguarda il tempo dello svolgimento dei fatti, non viene fatto nel racconto alcun riferimento a date o periodi.
RINTRACCIA NEL ROMANZO QUALCHE PASSO RIFERIBILE ALLA POETICA DELL’UMORISMO (DOMANDA LEGATA ANCHE ALLA N.5)
Pirandello volle collegare esplicitamente il romanzo al libro L’umorismo, che infatti uscì nel 1908 portando la dedica “Alla buonanima di Mattia Pascal bibliotecario”. In effetti, i due capitoli iniziali di Premessa e l’intero capitolo XII , dedicato allo strappo nel cielo di carta di un teatrino e alle sue conseguenze, sono veri e propri contributi teorici alla poetica dell’umorismo, in parte ripresi e rielaborati nel saggio del 1908. Nella Premessa seconda, la nascita del relativismo moderno e dell’umorismo sono fatti dipendere dalla scoperta di Copernico e dalla fine dell’antropocentrismo tolemaico: la rivelazione che l’uomo non è più al centro del mondo e che, al contario, costituisce un’entità minima e trascurabile di un universo infinito e inconoscibile rende assurde le sue pretese di conoscenza e di verità e relative tutte le sue fedi.
Significativo è un passo della Premessa seconda (filosofica, passo riportato qui di seguito:
“- Non mi par più tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo. In considerazione anche della letteratura, come per tutto il resto, io debbo ripetere il mio solito ritornello:Maledetto sia Copernico!
- Oh oh oh, che c’entra Copernico! – esclama don Eligio, levandosi su la vita, col volto infocato sotto il cappellaccio di paglia.
C’entra, don Eligio. Perché, quando
- E dàlli! Ma se ha sempre girato!
- Non è vero. L’uomo non lo sapeva , e dunque era come se non girasse. Per tanti, anche adesso, non gira. L’ho detto l’altro giorno ad un vecchio contadino, e sapete come m’ha risposto? ch’era una buona scusa per gli ubriachi. Ma lasciamo star questo. Io dico che quando
Ma che volete che me n’ importi? Siamo o non siamo su un’ invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai al destino? […] Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’ infinita nostra piccolezza, a considerarci men che niente nell’universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni; e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali calamità? Storie di vermucci ormai, le nostre.[…]
Dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci ed ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili”.
(cit. pag. 24 - 25)
Nel capitolo XII, invece, si descrive quanto succede in seguito allo strappo nel cielo di carta di un teatrino: l’eroe tradizionale, Oreste, esempio di eroe coerente e sicuro, si distrae di fronte all’ imprevisto, di fronte all’ “oltre” che gli si spalanca davanti, e perciò vede cadere ogni naturalezza e spontaneità del proprio agire: cessa di vivere e comincia a guardarsi vivere trasformandosi e divenendo di fatto un antieroe. Lo strappo è qualcosa che rivela la natura fittizia della rappresentazione; allegoricamente, un evento che mostra come la vita sia una recita e come la forma nasconda la sostanza. Di seguito si riporta la pagina in cui Anselmo Paleari, in questo caso portavoce dell’autore, enuncia la trasformazione di Oreste, tipico eroe della tragedia, in un moderno Amleto:
“ - La tragedia di Oreste in un teatrino di marionette – venne ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. – Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero 54. Sarebbe da andarci, signor Meis.
- La tragedia d’Oreste?
- Già! D’après Sophocle, dice il manifestino. Sarà l’ Elettra. Ora senta un po’ che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei.
- Non saprei, - risposi, stringendomi ne le spalle.
- Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe sconcertato da quel buco nel cielo.
- E perché?
- Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gli impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, tra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta.
E se ne andò, ciabattando. […]
L’immagine della marionetta d’ Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase un pezzo nella mente. A un certo punto : “Beate le marionette”, sospirai, “su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! e possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato”.
(cit. pag. 118)
Detto questo, nell’edizione del 1921, Pirandello aggiunge al romanzo un’ Avvertenza sugli scrupoli della fantasia. Discutendo pubblicamente sulla verosimiglianza della trama, Pirandello sottolinea il carattere artificioso della costruzione romanzesca. Si ottiene una sorta di sdoppiamento del romanzo: da un lato esso è presentato come storia accaduta, per il fatto che il protagonista lascia il manoscritto con su la propria vicenda con “l’obbligo che nessuno possa aprirlo se non dopo la sua terza, definitiva e ultima morte” ; dall’altro si discute se tale storia può essere accaduta o meno. Dunque ogni verità è relativa, anche quella romanzesca.
Ovviamente, ne Il fu Mattia Pascal, l’umorismo non è solo teorizzato, ma anche messo in pratica. Una tipica scena umoristica, per esempio, è quella, nel cap. V, in cui, dopo la zuffa fra la vedova Pescatore e la zia Scolastica, Mattia, davanti allo specchio, vede sul suo viso lacrime sia di dolore che di riso : l’atto dell’auto riflessione e dello sdoppiamento, la mescolanza dei contrari (il riso e il pianto), il doloroso ma autoironico compatimento nei propri confronti, il fatto che l’occhio di Mattia si ferma su un dettaglio buffo e paradossale quale quello delle gambe che la vecchia vedova Pescatore mostra, involontariamente, al genero sono tutti aspetti dell’atteggiamento umoristico tipico di Pirandello:
“ Zia Scolastica scattò in piedi, si tolse furiosamente lo scialletto che teneva su le spalle e lo lanciò a mia madre:
- Eccoti! lascia tutto. Via subito!
E andò a piantarsi di faccia alla vedova Pescatore. […]
Quindi afferrò per un braccio mia madre e se la trascinò via.
Quel che seguì fu per me solo. La vedova Pescatore, ruggendo dalla rabbia, si strappò la pasta dalla faccia, dai capelli tutti appiastricciati, e venne a buttarla in faccia a me, che ridevo in una specie di convulsione; m’afferrò la barba, mi sgraffiò tutto; poi, come impazzita, si buttò per terra e cominciò a strapparsi le vesti addosso, a rotolarsi, a rotolarsi, frenetica, sul pavimento; mia moglie intanto (sit venia verbo) receva di là, tra acutissime strida, mentr’ io:
-Le gambe! le gambe! – gridavo alla vedova Pescatore per terra. – Non mi mostrate le gambe, per carità!
Posso dire che da allora ho fatto il gusto a ridere di tutte le mie sciagure e d’ogni mio tormento. Mi vidi, in quell’istante, attore d’una tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare: mia madre, scappata via, così, con quella matta ; mia moglie, di là, che… lasciamola stare!; Marianna Pescatore lì per terra; e io, io che non avevo più pane, quel che si dice pane, per il giorno appresso, io con la barba tutta impastocchiata, il viso graffiato, grondante non sapevo ancora se di sangue o di lagrime, per il troppo ridere. Andai ad accertarmene allo specchio. Erano lagrime; ma ero anche sgraffiato bene. Ah quel mio occhio, in quel momento, quanto mi piacque! Per disperato, mi s’era messo a guardare più che mai altrove , altrove per conto suo. E scappai via, risoluto a non rientrare in casa, se prima non avessi trovato comunque da mantenere, anche miseramente mia moglie e me”.
(cit. pag. 48-49)
IL MOTIVO DELLO SPECCHIO RICORRE PIU’ VOLTE NEL ROMANZO ED E’ LEGATO AL TEMA DELLO SDOPPIAMENTO. ANALIZZA QUALCHE BRANO RELATIVO AL TEMA E RICOSTRUISCI I MODI IN CUI IL PERSONAGGIO ESPRIME
La funzione dello specchio ne Il fu Mattia Pascal è quella di indurre il personaggio che si specchia a volgere la sua coscienza a considerarsi. In questa vicenda il protagonista si trova in ben tre occasioni davanti ad uno specchio, ognuna delle quali svolge un ruolo ben preciso nell’organizzazione della narrazione.La prima volta che Mattia Pascal si guarda allo specchio è dopo una furiosa lite familiare, epilogo tempestoso di un lungo periodo di rapporti molto tesi fra lui stesso, la moglie e soprattutto la suocera. La situazione è effettivamente grottesca, a vederla dall’esterno, ma per chi vi è coinvolto è senz’altro tragica. Il capitolo è intitolato non a caso Maturazione, perché quella situazione e quella prima volta davanti allo specchio segnano l’inizio della maturazione psicologica del protagonista, della prima presa di coscienza della sua identità.
“Posso dire che da allora ho fatto il gusto a ridere di tutte le mie sciagure e d’ogni mio tormento. Mi vidi, in quell’istante, attore d’una tragedia che piú buffa non si sarebbe potuta immaginare: mia madre, scappata via, cosí, con quella matta; mia moglie, di là, che . . . lasciamola stare!; Marianna Pescatore lí per terra; e io, io che non avevo piú pane, quel che si dice pane, per il giorno appresso, io con la barba tutta impastocchiata, il viso sgraffiato, grondante non sapevo ancora se di sangue o di lagrime, per il troppo ridere. Andai ad accertarmene allo specchio. Erano lagrime; ma ero anche sgraffiato bene. Ah quel mio occhio, in quel momento, quanto mi piacque! Per disperato, mi s’era messo a guardare piú che mai altrove, altrove per conto suo. E scappai via, risoluto a non rientrare in casa, se prima non avessi trovato comunque da mantenere, anche miseramente, mia moglie e me. (54–55)”
La seconda volta che il protagonista si ritrova davanti ad uno specchio è proprio nel momento in cui cambia identità: scelto un altro nome decide di adeguare anche l’aspetto al nuovo nome, e perciò si affida ad un barbiere. Il titolo del capitolo, Adriano Meis, non è scelto a caso nemmeno questa volta.
“Il brav’uomo, tutto sudato, mi porgeva uno specchietto perché gli sapessi dire se era stato bravo.
Mi parve troppo!
—No, grazie,—mi schermii.—Lo riponga. Non vorrei fargli paura.
Sbarrò tanto d’occhi, e:
—A chi?—domandò.
—Ma a codesto specchietto. Bellino! Dev’essere antico . . .
Era tondo, col manico d’osso intarsiato: chi sa che storia aveva e donde e come era capitato lí, in quella sarto-barbieria. Ma infine, per non dar dispiacere al padrone, che seguitava a guardarmi stupito, me lo posi sotto gli occhi.
Se era stato bravo!
Intravidi da quel primo scempio qual mostro fra breve sarebbe scappato fuori dalla necessaria e radicale alterazione dei connotati di Mattia Pascal! Ed ecco una nuova ragione d’odio per lui! Il mento piccolissimo, puntato e rientrato, ch’egli aveva nascosto per tanti e tanti anni sotto quel barbone, mi parve un tradimento. Ora avrei dovuto portarlo scoperto, quel cosino ridicolo! E che naso mi aveva lasciato in eredità! E quell’occhio!
“Ah, quest’occhio,” pensai, “cosí in estasi da un lato, rimarrà sempre suo nella mia nuova faccia! Io non potrò far altro che nasconderlo alla meglio dietro un pajo d’occhiali colorati, che coopereranno, figuriamoci, a rendermi piú amabile l’aspetto. Mi farò crescere i capelli e, con questa bella fronte spaziosa, con gli occhiali e tutto raso, sembrerò un filosofo tedesco. Finanziera e cappellaccio a larghe tese.” (104–05)”
Nel terzo caso in cui il personaggio si trova davanti allo specchio—nel capitolo L’occhio e Papiano—egli è spaventato dal fatto che uno dei suoi padroni di casa, Papiano appunto, un individuo poco affidabile, una sera inviti un certo spagnolo che il protagonista aveva conosciu-to a Monte Carlo quando era ancora Mattia Pascal.
La paura di esser riconosciuto come Mattia Pascal porta per ben due volte Adriano Meis davanti allo specchio.
“Mi trovai, senza saperlo, davanti allo specchio, come se qualcuno mi ci avesse condotto per mano. Mi guardai. Ah quell’occhio maledetto! Forse per esso colui mi avrebbe riconosciuto. Ma come mai, come
E poco dopo:
“Non potendo con altri, mi consigliai di nuovo con lo specchio. In quella lastra l’immagine del fu Mattia Pascal, venendo a galla come dal fondo della gora, con quell’occhio che solamente m’era rimasto di lui, mi parlò cosí: In che brutto impiccio ti sei cacciato, Adriano Meis! Tu hai paura di Papiano, confessalo! e vorresti dar la colpa a me, ancora a me, solo perché io a Nizza mi bisticciai con lo Spagnuolo. Eppure ne avevo ragione, tu lo sai. Ti pare che possa bastare per il momento il cancellarti dalla faccia l’ultima traccia di me? Ebbene, segui il consiglio della signorina Caporale e chiama il dottor Ambrosini, che ti rimetta l’occhio a posto. Poi . . . vedrai!” (189)”
Le funzioni dello specchio sono dunque molteplici. Esso è uno strumento che Pirandello utilizza per risvegliare l’autocoscienza e l’autoriflessione nel protagonista attraverso la percezione del lato comico della tragedia; esso è lo strumento con cui viene mostrata la realtà costruita, innaturale, della seconda identità del protagonista fin dalla sua creazione; ed è infine lo strumento con cui viene sottolineata la condizione di spettatore nei confronti della vita di chi vuol vivere al di là dei legami sociali che costituiscono una vera identità.
ELENCA I TEMI PRINCIPALI DEL ROMANZO
1. L'infanzia e la maturazione (capitoli I-IV)
· Identità
· Amore (Pomino, Romilda, Oliva, Mattia)
· Lavoro e società à solitudine (biblioteca)
2. da Mattia ad Adriano (capitoli VI-VII)
· Essere-apparire
· Ricerca dell'identità
· Libertà aspirata
3. Adriano a Roma (capitoli VIII-XVI)
· Viaggio
· Amore
4. Il Fu Mattia Pascal (capitoli XVII-XVIII)
· Pietà
· Identità / non identità
QUALE CONCEZIONE DELLA FAMIGLIA EMERGE
La concezione che emerge della famiglia è in modo negativo perché al protagonista appare come una prigione.
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