giovedì 30 luglio 2009

Filosofia: Hegel

Il carattere peculiare della filosofia hegeliana fu quello di affermare la razionalità della storia. Mentre l’eredità del pensiero greco fu quella di cogliere la ragione nella natura, Hegel ha cercato di riconoscere la stessa razionalità anche nel campo della storia. La sua tesi fu che anche nella storia dell’uomo, anche nell’apparente guazzabuglio delle vicende umane, si manifesta una razionalità analoga a quella presente nella natura. La razionalità dell’essere non è quindi solo un tratto costitutivo dell’autocoscienza umana (l’uomo era definito dagli antichi "animale razionale") ma è una caratteristica dell’essere stesso: perciò la ragione dell’uomo deve essere pensata come una parte di quella razionalità piuttosto che come una autocoscienza opposta al Tutto. La realtà è per Hegel movimento, divenire, processo, sviluppo. Non è staticità o astrazione ma un soggetto vivo, concreto, attuale, che si manifesta nel mondo sia naturale che storico. La realtà è lo SPIRITO INFINITO, detto anche ASSOLUTO ovvero IDEA ovvero RAGIONE. Per questo Hegel definisce la sua filosofia una forma di Idealismo in un duplice senso: da un lato perché la vera realtà è appunto l’Idea, cioè il Pensiero, lo Spirito, l’Assoluto, la Ragione; dall’altro perché afferma la idealità cioè la non realtà di ciò che noi chiamiamo "finito": per Hegel infatti il finito non esiste di per sé (se no sarebbe l’Assoluto) ma solo in un contesto di relazioni o rapporti; in altre parole, se la realtà è un tutto unitario, quello che esiste ne è una parte o manifestazione: il finito esiste così solo nell’infinito e in virtù dell’infinito. La sua filosofia è stata definita come una sorta di monismo panteistico nel senso che Hegel vede nel mondo (il finito) la manifestazione dell’Assoluto (l’Infinito). E l’Assoluto è, si ricordi, un Soggetto spirituale in divenire, di cui tutto ciò che esiste è una tappa o momento di realizzazione. Se la realtà consiste in un processo di sviluppo infinito, allora solo alla fine, cioè con lo Spirito, giunge a conoscere e a rivelarsi per quello che è. "Il vero è l’intero" afferma Hegel nella Prefazione della Fenomenologia dello Spirito, proprio per indicare come l’Assoluto si conosca per ciò che veramente è solo al termine del processo di sviluppo. Soltanto quando tale processo è compiuto, infatti, si può comprendere appieno la razionalità che in esso si è dispiegata. Si badi: la verità – e la realtà – hanno un andamento circolare, poiché si parte da un soggetto per ritornare ad esso, dopo aver capito che l’oggetto, che sembrava essere contro o indipendente da esso, non è altro che una "espressione" del soggetto stesso (ecco l’idealismo, perché l’oggetto deriva dal soggetto, la materia deriva dallo spirito).

LA DIALETTICA
Questo
processo di sviluppo continuo è un processo dialettico. La dialettica ha per Hegel due significati per altro strettamente collegati: in un primo senso essa è il processo mediante il quale l’Assoluto si riconosce nella realtà che, in un primo momento, gli era apparsa come estranea od opposta, togliendo o conciliando appunto quella opposizione; in un secondo senso è il processo mediante il quale la realtà, superando le divisioni, si pacifica – come dice Hegel – nell’unità del Tutto. Si noti: le divisioni, i conflitti ecc. sono reali, ma sono aspetti della alienazione (= estraniazione, allontanamento, separazione) in cui la ragione viene a trovarsi di fronte a se stessa; ed appunto sono reali come "strumenti di passaggio", forme di mediazione del processo attraverso il quale la Ragione si costituisce come unità, come – dice Hegel – Autocoscienza Assoluta. La dialettica si svolge in tre momenti chiamati tesi, antitesi, sintesi. La tesi è il primo momento, quello della semplice affermazione, più o meno astratta o intellettuale: si afferma qualcosa ma non si coglie ancora la ricchezza e la concretezza della cosa. L’antitesi è il secondo momento, quando, visto che ogni affermazione implica una negazione, si procede oltre il semplice principio di identità della tesi e si mettono in rapporto le varie determinazioni con le determinazioni opposte (ad es. l’uno richiama i molti, l’essere il nulla ecc.). Questo secondo momento è per Hegel importantissimo perché ci ricorda che ogni finito, cioè ogni parte della realtà, non può esistere da solo (altrimenti, come abbiamo già detto, sarebbe l’Assoluto) ma soltanto in un contesto di rapporti. Inoltre nessun rapporto può nascere e svilupparsi se non passando prima attraverso il dissidio, la contraddizione e la finale riconciliazione. Si badi: l’antitesi, che è il momento della negazione dialettica, non è affatto per Hegel puramente negativa. essa vuole soltanto negare il carattere in apparenza specifico ed esclusivo (Hegel dice la determinatezza) dell’oggetto, la sua fissità, la sua astrazione, la sua posizione intellettualistica che lo isola e fa dimenticare che ogni cosa è in relazione col resto.
Però la negazione non basta: ecco perché c’è ancora il terzo momento, quello della sintesi. La sintesi è il momento conclusivo, speculativo e razionale, in cui si coglie finalmente l’unità e la concretezza delle determinazioni opposte ed il positivo che emerge dalla loro sintesi. La sintesi per Hegel è così Aufhebung, cioè superamento che toglie l’opposizione tra tesi e antitesi ma anche conservazione, nello stesso tempo, della verità di entrambe e della loro precedente opposizione. In altre parole, gli opposti non vengono eliminati ma considerati ad un livello superiore, nell’unità che risolve il loro carattere di opposizione. Ed è solo la Ragione (o Idea o Assoluto ecc.), nel momento che Hegel chiama speculativo o dialettico, che riesce a cogliere la concretezza del reale, l’interazione reciproca dei vari aspetti della realtà nella dinamicità del loro sviluppo, mentre l’intelletto, essendo la facoltà dell’analisi e della distinzione, riesce solo a pensare staticamente, astrattamente.


REALTA’ E RAZIONALITA’
Dobbiamo ora cercare di chiarire un’altra celebre espressione di Hegel, che si trova nella Prefazione dei Lineamenti della Filosofia del Diritto (del 1821):
"Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale".
Il significato di tale espressione potrebbe essere frainteso se si confonde il reale con il semplicemente esistente. Hegel non vuole dire che tutto ciò che esiste deve necessariamente esistere bensì che tutto ciò che ha in sé una razionalità assoluta non può non esistere. Hegel si riferisce qui a quelle che lui chiama le "determinazioni universali dello Spirito Oggettivo" cioè le istituzioni, i costumi e soprattutto lo Stato. Ora, chi non vede che le istituzioni e gli Stati sono ben lungi dall’essere perfetti e razionali? Ma Hegel non vuole dir questo. E’ banale osservare che "le cose non vanno bene", "lo Stato è ladro" e simili; ma chi può negare che la famiglia, la società, lo Stato siano istituzioni concrete e, ancor più necessarie, e quindi razionali? Ed è proprio questo che vuole dire Hegel. Egli ha voluto così affermare la necessaria identità fra Ragione e realtà. La Ragione non è pura astrazione, idealità, bensì governa il mondo e lo costituisce; la realtà non è che il dispiegarsi della Ragione che si manifesta in una serie di passaggi, i quali rappresentano, ognuno, il risultato di quelli precedenti e il presupposto di quelli seguenti. Così la realtà intera à da Hegel accettata e giustificata, visto che, dal punto di vista dello Spirito Assoluto, tutto ciò che è, è, appunto, necessariamente quello che deve essere. Il compito della filosofia, per Hegel, non è quello di modificare o trasformare la realtà indicando un modello ed insegnando "come il mondo debba essere", come hanno fatto tutte le filosofie precedenti ad Hegel (in particolare quella kantiana, per la quale permane il divario fra l’essere e il dover essere, tra quello che è o si può conoscere e quello che si dovrebbe fare o si può arrivare a conoscere), ma è quello di prendere atto della realtà così com’è, essa deve cioè "mantenersi in pace con la realtà" e deve solo elaborare in concetti il contenuto reale che le offre l’esperienza, dimostrandone l’intrinseca razionalità. La filosofia è paragonata da Hegel, secondo una celebre similitudine, alla nottola (la civetta, simbolo di saggezza) della dea Minerva, la quale inizia a volare al crepuscolo, cioè quando il giorno è finito, ovvero quando la realtà è già fatta, conclusa.

FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO (1807)
Si è già detto che per Hegel la verità si consegue solo con la conoscenza della totalità. Il processo di raggiungimento della verità può essere rappresentato in due modi, a seconda che si parta dal soggetto oppure dall’oggetto o, meglio, dal sistema delle istituzioni. Nel primo caso abbiamo la Fenomenologia dello Spirito, nel secondo la Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.
La Fenomenologia dello Spirito è definita da Hegel come la "storia romanzata della coscienza che attraverso contrasti, scissioni, quindi infelicità e dolore esce dalla sua individualità e raggiunge l’universalità, riconoscendosi come ragione che è realtà e realtà che è ragione". Essa è vista da Hegel anche come una sorta di introduzione alla filosofia nel senso che introduce il singolo alla filosofia cioè tende a far sì che egli si riconosca e si risolva nello Spirito universale. Nella descrizione del processo che porta il soggetto verso la Verità, Hegel illustra due celebri figure che rappresentano questa "storia romanzata della coscienza": quella della coscienza infelice e quella del servo e padrone. La coscienza è infelice quando non sa ancora di essere tutta la realtà, quindi si ritrova scissa in conflitti, da cui può uscire solo arrivando alla consapevolezza di essere tutto. La coscienza infelice è tipica della coscienza religiosa, quando assume la forma di una separazione radicale tra Dio e l’uomo. Nell’ebraismo per esempio Dio è visto come inaccessibile, e così pure nel cristianesimo permane pur sempre la trascendenza divina, il distacco fra creatore e creatura, nonostante l’incarnazione di Dio in Cristo. Quando però la coscienza, nel suo sforzo di unirsi a Dio, si rende conto di essere, lei stessa, Dio, ovvero il Soggetto Assoluto o l’Universale, allora l’autocoscienza diventa dialetticamente Ragione, la quale assume in sé ogni realtà ("la Ragione – dice Hegel – è la certezza di essere ogni realtà"). In altri termini, il soggetto riconosce se stesso come Assoluto, ovvero l’individuo acquista la totale coscienza di sé come Spirito (per spirito Hegel intende anche l’individuo nei suoi rapporti con la comunità sociale di cui fa parte). Ora, l’uomo è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere come tale da un’altra autocoscienza. In altre parole, il riconoscimento passa attraverso il conflitto fra le autocoscienze. Tale è il rapporto definito da Hegel come quello fra servo e padrone (o signore). Il signore o padrone, che sembra indipendente dal servo, nella misura in cui si limita a godere passivamente del lavoro altrui, finisce per rendersi dipendente dal servo; il servo, anche se pare all’inizio dipendente dal padrone, nella misura in cui padroneggia e trasforma le cose da cui il signore riceve il proprio sostentamento, finisce di rendersi indipendente dal padrone. Per cui le due figure sono in realtà dipendenti l’una dall’altra ed entrambe possono rendersi indipendenti l’una dall’altra. Così capita nel raggiungimento dell’indipendenza da parte della coscienza. A questo punto le vicende della fenomenologia dello spirito sono concluse.

La Fenomenologia dello spirito

Hegel sviluppa il tema della risoluzione del finito nell'infinito nella Fenomenologia dello Spirito (laddove fenomenologia significa Scienza di ciò che appare). La fenomenologia è la storia romanzata della coscienza individuale che esce dalla sua individualità per farsi universalità: in pratica è come se nella dottrina hegeliana esistessero due piani separati che s'intersecano e sovrappongono quando l'Assoluto s'incarna nello Spirito soggettivo.

  • La prima via all'in su è quella della coscienza individuale verso il possesso dell'Assoluto ed è questa la strada indicata nella Fenomenologia.
  • La seconda via all'in giù è quella dell'Assoluto che attraverso gli stadi dialettici dello sviluppo logico di Idea (con la corrispondente dottrina della Logica) - Natura (studiata dalla Filosofia della Natura) - Spirito (descritto nella Filosofia dello Spirito)) si manifesta come Spirito soggettivo nell'individuo e, da questo punto coincidendo con la prima via giunge, passando attraverso lo Spirito oggettivo, su se stesso, gonfio di realtà, come Spirito assoluto.

Hegel riproporrà infine l'intero percorso, sia quello individuale che quello dello stesso Assoluto, nella "Enciclopedia delle scienze filosofiche".La Coscienza individuale ripercorre tutte le tappe dello Spirito Assoluto, e dopo molti travagli, viene ad identificarsi con esso. Da ciò prende l'avvio una delle più famose figure[1] della Fenomenologia dello Spirito, vale a dire quella della Coscienza infelice cioè quella coscienza che non sa di essere tutta la realtà, e che pertanto viene dilaniata da opposizioni interne che riesce a superare solo comprendendo di essere il tutto. Inconsapevole di essere tutta la Realtà, versa in uno stato di scissione con l'Intero, sperimentando le lacerazioni, le opposizioni, i conflitti che si possono risolvere soltanto con la certezza che, su ogni singola realtà, questa stessa coscienza vi potrà scorgere la sua piena realizzazione come Ragione, ritrovando la piena armonia con l'Assoluto. Sono quattro i momenti dello sviluppo fenomenologico: la coscienza, l'autocoscienza, la ragione e lo spirito.

La coscienza

Il momento da cui inizia la consapevolezza di sé (coscienza) è rappresentato dall'incontro dell'individuo con l'oggetto. È attraverso il confronto sensibile con gli oggetti che ci rendiamo conto della nostra esistenza. L'incontro con l'oggetto si sviluppa attraverso tre fasi:

  • certezza sensibile: in cui si è certi che esiste l'oggetto rivelato dai sensi. Nasce però la difficoltà di capire come riportare la certezza sensibile di questo oggetto a tutti gli altri oggetti che mi si presentano nella loro diversità sensibile.
  • percezione: in questa fase la mia attenzione si volge a fare in modo che le diverse proprietà degli oggetti possono essere riportate ad un unico punto di riferimento che mi permetta di avere una visione unitaria della realtà. La soluzione sembra essere quella di riportare tutta la varietà delle qualità sensibili a un punto fisso di riferimento: il sostrato, la sostanza presente in tutte le cose allo stesso modo. Ma la ricerca travagliata della sostanza ha dimostrato che l'uomo non riesce a coglierla.
  • intelletto: visto che non siamo in grado di conoscere questo sostrato sul quale ineriscono le qualità dobbiamo pensare che l'unità non stia nell'oggetto, ma nel soggetto che unifica le sensazioni tramite l'intelletto. La consistenza fenomenica della realtà viene superata non ricercandola nella sostanza ma riportandola alla funzione dell'intelletto. (Ogni fatto, secondo l'idealismo, rimanda all'atto che lo pone.)

A questo punto la coscienza ha interiorizzato l'oggetto in sé stessa ed è diventata coscienza di sé, ovvero autocoscienza che non ha più bisogno di riferirsi agli oggetti per avere coscienza di sè, ha capito che la certezza della propria esistenza è data dalla sua attività intellettuale.

L'Autocoscienza

L'autocoscienza non ha più in Hegel il significato di essere coscienti di sé, che aveva avuto sinora, ma acquista un valore sociale e politico. L'autocoscienza si raggiunge infatti solo se si riesce a confrontarci nella nostra particolare esistenza con quella degli altri. Il riconoscimento delle altre autocoscienze non avviene, come si potrebbe pensare e come in effetti Hegel aveva inizialmente sostenuto nella fase giovanile (vedi: Pensiero di Hegel), attraverso l'amore, bensì attraverso la lotta, il confronto per cui, addirittura, alcuni individui arrivano a sfidare la morte per potersi affermare su quelli che hanno paura e finiscono per subordinarsi ai primi. È questo il rapporto di signoria-servitù.

Signoria e servitù

Il signore, nel rischiare la propria vita proteggendo quella dei deboli, ha raggiunto il suo scopo, e si è affermato su quello che è divenuto il suo servo. Anche il servo però diventa importante per il signore poiché dal lavoro di quello dipende il suo stesso mantenimento in vita. È il servo che lo nutre, lo accudisce e gli fornisce gli oggetti di cui ha bisogno. Il padrone non riesce più a fare a meno del servo. Dunque la subordinazione si rovescia. Il padrone diviene servo (nel senso che ha bisogno di lui) del servo, e il servo diviene padrone (con la sua attività produttiva) del padrone.

Da notare che non vanno perduti i ruoli originari, ma se ne aggiunge ad entrambi uno nuovo, l'opposto. Il passato di servo e padrone non viene eliminato del tutto ma in ognuno è in parte tolto e nello stesso tempo conservato il ruolo originario. È il classico rapporto di Aufheben (togliere e conservare) che si stabilisce tra i vari momenti dello sviluppo dialettico (vedi Pensiero di Hegel) che nella dialettica del servo sono

Inoltre, il lavoro è formativo e creativo, poiché il servo, in ciò che produce, mette tutto se stesso e non solo la sua forza materiale, mentre il padrone si limita ad utilizzare gli oggetti prodotti.[2] E poi, poiché le cose non sono di sua proprietà, il servo riesce a dominare i propri desideri: dunque, attraverso il lavoro, l'autocoscienza acquisisce anche la dignità.

Stoicismo e scetticismo

Il raggiungimento dell' indipendenza, ultimo dei tre momenti della dialettica servo-padrone, coincide con lo stoicismo, ossia quella visione del saggio che ritiene di poter fare a meno delle cose raggiungendo così l'autosufficienza. Tuttavia, in questo modo lo stoico s'illude di eliminare la realtà che continua invece a sussistere e ad influenzare la sua vita. Chi invece riesce ad ignorare totalmente la realtà è lo scettico. Tuttavia lo scetticismo si contraddice, poiché da un lato lo scettico dubita della realtà e dichiara che tutto è vano e incerto, mentre dall'altro vorrebbe poter sostenere qualcosa di reale e vero. Questa scissione tra l'uno e il Tutto, tra l'individuo e la totalità del mondo, si ripropone nella figura della coscienza infelice religiosa tra il soggetto e la totalità di Dio.

La coscienza infelice religiosa

La scissione diventa esplicita in quella spaccatura che l'uomo avverte fra se stesso e Dio. Questa scissione appare evidente nell'ebraismo, dove il Dio è visto come un essere totalmente trascendente, padrone della vita e della morte: vi sarebbe dunque un rapporto di signoria-servitù fra Dio e l'uomo.(cfr. Pensiero di Hegel: il periodo di Jena). In un secondo momento, con il cristianesimo medioevale, questa scissione sembra sanarsi quando Dio si assimila all'uomo incarnandosi. Tuttavia, nulla viene veramente risolto: Cristo, da un lato, con la propria resurrezione, ritorna ad allontanarsi dall'uomo, superando la sua stessa incarnazione e, per altro verso, essendo Cristo vissuto storicamente in tempi anteriori, i molti che gli sono succeduti non hanno potuto assistere al miracolo dell'incarnazione di un Dio che ormai è separato dalla storia e lontano dai credenti. Pertanto la scissione è tutt'altro che risolta, e la coscienza, sentendosi ancora separata dall'Assoluto, permane nell'infelicità. Le manifestazioni dell’infelicità della coscienza dell'uomo cristiano-medievale sono tre:

  • la devozione, con cui l’uomo si mortifica ed umilia riconoscendo Tutto in Dio e Niente in sé. Inoltre, la devozione è solo sentimentalismo, sentimento, che per Hegel non porta all’infinito;
  • Le opere di bene, attraverso cui l’uomo spera di congiungersi con Dio. Tuttavia, egli ritiene che le sue forze e le sue opere siano dono di Dio. È un’ulteriore mortificante riconoscimento della sua dipendenza e separazione da Dio.
  • La mortificazione di sé e del proprio corpo con le pratiche ascetiche. È il punto più basso, il fondo dell’infelicità.

La presa di coscienza del proprio valore, dopo aver toccato il punto più basso con la mortificazione di sé nei confronti della divinità, avviene nel Rinascimento, quando l'uomo riprende coscienza della propria forza ed inizia il cammino per raggiungere l'Assoluto.

Ragione

Ragione osservativa

Nel Rinascimento l'uomo riacquista la ragione che gli indica come sia inutile la ricerca di un Dio trascendentenatura stessa. Nasce così la pretesa della scienza di conquistare l'Assolutolegge e l'esperimento. Ancora una volta la totalità sfugge al potere dell'uomo. mentre questo è vivo e presente nella tramite l'osservazione scientifica della realtà. Ma la descrizione che la scienza fa del mondo non vuol dire impossessarsi del mondo tramite la

Ragione attiva

Allora dalla ragione osservativa si passa a quella attiva, alla descrizione del mondo si sostituisce l'azione sul mondo, la volontà di usarlo e goderne. Ma tale intento fallisce come testimoniano le tre figure della ragione attiva:

  • "il piacere e la necessità": l'individuo deluso dalla scienza e dalla ricerca naturalistica si getta nella vita alla ricerca del proprio godimento. Ma nel piacere l'individuo inevitabilmente incontrerà il suo destino che metterà fine a ogni piacere.
  • L'individuo cercherà allora di opporsi al corso ostile del mondo appellandosi alla "legge del cuore". Nuovo don Chisciotte dopo avere cercato di individuare e abbattere i mali del mondo entrerà il conflitto con altri combattenti che perseguono un loro progetto di bene e vero universali.
  • l'individuo allora prenderà come sua guida "la virtù", ossia un agire in grado di procedere oltre l'immediatezza del sentimento e delle inclinazioni soggettive. Ma il contrasto tra la virtù, il bene concepito astrattamente, e la realtà del mondo, si concluderà con la sconfitta del "cavaliere della virtù".

Individualità in sé e per sè

In questa fase sintetica dello sviluppo dialettico della ragione Hegel mostra come l'individualità,pur mirando a raggiungere la propria realizzazione, rimane tuttavia, astratta e inadeguata. Per mostrarlo egli si serve ancora delle "figure":

  • La prima figura è quella che Hegel denomina "il regno animale dello spirito": agli sforzi e alle ambizioni di una virtù che dovrebbe realizzare il bene di tutti ma che fallisce, succede l'atteggiamento dell'onesta dedizione ai propri compiti particolari. Ma c'è un inganno. L'individuo tende a spacciare la sua opera come il dovere morale stesso, mentre essa esprime soltanto il proprio interesse personale. Non esiste vera morale se non è universale.
  • La figura della "la ragione legislatrice" : l'autocoscienza avvertendo l'inganno, cerca in se stessa delle leggi che valgano per tutti. Tuttavia tali leggi che pretendono d'essere universali in effetti nascono dalla propria volontà individuale.
  • Infine la figura della "ragione esaminatrice delle leggi": l'autocoscienza cerca delle leggi assolutamente valide che s'impongano a tutti nessuno escluso. Ma così facendo l'individuo si deve porre al di sopra delle leggi stesse, riducendone quindi, la validità e l'incondizionatezza.

Con tutte queste figure Hegel vuole dirci che se ci si pone dal punto di vista dell'individuo si è inevitabilmente costretti a non raggiungere mai l'universalità. Quest'ultima si trova soltanto nella fase dello "Spirito".

L’ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE IN COMPENDIO (1817)

La differenza principale fra la Fenomenologia dello Spirito e l’Enciclopedia è (oltre a quanto già accennato sopra) la seguente: la prima riguarda figure ovvero situazioni storiche o spirituali o anche fantasticate che costituiscono una vicenda del processo attraverso il quale l’autocoscienza giunge a riconoscere se stessa; l’Enciclopedia riguarda concetti o categorie, viste come momenti necessari nella realizzazione della autocoscienza, ovvero, detto in altri termini, è una storia dell’autocoscienza nei suoi momenti immutabili, universali e necessari (quali sono ad esempio l’essere, lo spirito, la natura, lo Stato, l’arte, la religione, la filosofia ecc.). L’Enciclopedia è divisa in tre parti: la tesi è rappresentata dalla Logica o scienza dell’Idea in sé; l’antitesi dalla Filosofia della Natura o scienza dell’Idea fuori di sé; la sintesi dalla Filosofia dello Spirito o scienza dell’Idea che ritorna a sé o in sé e per sé. Nella Logica l’Idea ovvero l’Assoluto è studiato a prescindere dalle sue realizzazioni concrete nella natura e nello spirito; per raggiungere la consapevolezza di sé, l’Assoluto deve allora negarsi, farsi altro da sé, oggettivarsi, cioè farsi natura(ed ecco la Filosofia della Natura); ma non basta: deve poi giungere allo spirito cioè alla libertà e alla consapevolezza (Filosofia dello Spirito).
Approfondiamo parte della Filosofia dello Spirito.
C’è da osservare, in primo luogo, che per Hegel logica e metafisica si identificano. Il che c’era da aspettarselo, viste tutte le premesse. Infatti per Hegel i concetti o categorie di cui si occupa la logica sono in realtà i "pensieri oggettivi", quelli che esprimono la realtà nella sua essenza necessaria, nella sua verità assoluta. Il contenuto della logica è in pratica, per Hegel, Dio stesso, che è assoluta realtà. Lo studio del pensiero (com’è in genere la definizione della logica) è dunque per Hegel lo studio della stessa realtà, visto che la Ragione (ovvero Idea ovvero Assoluto) è la realtà !

LA LOGGICA

La Fenomenologia dello Spirito ci ha portati dal punto di vista del sapere della coscienza empirica al punto di vista del Sapere Assoluto, che, come ogni sapere, ha i propri principi e una propria trama concettuale. La sua fondazione più rigorosa viene data dalla scienza della sua interna “logica”. Ad essa è dedicata la Scienza della logica, una delle opere più importanti del filosofo tedesco. La logica non è sorta con Hegel: essa è una scoperta degli antichi. Nata nell’ambito della scuola di Elea, soprattutto con Zenone, raggiunge i suoi vertici con Platone e Aristotele. In età moderna Kant la riprende nella sua Critica della Ragion Pura, ma la blocca a livello di sviluppo sistematico, di antinomie destinate a restare irrisolte, e quindi la priva di valore conoscitivo. Per Hegel gli antichi hanno fatto un grande passo sulla via della scientificità, in quanto hanno saputo elevarsi dal particolare all’universale; tuttavia il filosofo tedesco osserva che le idee platoniche e i concetti aristotelici sono rimasti, per così dire, bloccati in una rigida quiete e quasi solidificati. Poiché, per H., la realtà è divenire, movimento e dinamicità, la dialettica, per essere uno strumento adeguato, dovrà essere riformata, imprimendo movimento alle essenze e al pensiero universale già scoperto dagli antichi. Una logica vera e propria, che goda di una trattazione a se stante, distinta dalla trattazione di tutti gli altri aspetti del conoscere, si avrà solo con Aristotele. Tuttavia Platone ne pone ampiamente le premesse e rende possibile l’ulteriore elaborazione aristotelica. Lo stesso Kant riconosce che la logica, come scienza del pensiero puro, non aveva fatto sostanzialmente progressi, dopo la forma che Aristotele, per primo, le aveva dato. Ciò, però, non significa, osserva Hegel, che essa sia nata già perfetta e non suscettibile di rielaborazione: occorre invece sviluppare un nuovo concetto della logica adeguato ad esprimere nuovi contenuti. La logica è, per Hegel, la scienza dell’IDEA PURA cioè dell’Idea nell’elemento astratto del pensiero. L’IDEA, che è oggetto della logica, è il primo momento dello sviluppo ideale che ha i suoi ulteriori momenti nella NATURA e nello SPIRITO. In questo senso l’Idea è il sistema delle categorie o determinazioni astratte del pensiero, anzi è il pensiero stesso nello sviluppo delle sue articolazioni. La Scienza della logica è articolata in tre libri: una “dottrina dell’essere”, una “dottrina dell’essenza”, una “dottrina del concetto”. La tesi di fondo della logica hegeliana è che “pensare” e “essere” coincidono e che, pertanto, la logica coincide con la metafisica. I principi di questo sapere assoluto valgono tanto come principi del conoscere, quanto come principi dell’essere. La categoria che costituisce il punto di partenza dell’analisi hegeliana è l’essere. L’essere è infatti la disposizione originaria del pensiero, da cui tutte le cose discendono: nulla è pensabile se non in quanto è. L’essere è la forma di tutto ciò che si da, ma è la forma di un darsi semplice ed immediato. Non si potrebbe comprendere il puro e semplice essere senza comprendere al tempo stesso il nulla nella dimensione del divenire. In effetti, il puro essere è, nella sua generalità, assenza di determinatezza: è un puro essere che non è determinato. L’essere puro e semplice è interamente traducibile in questa idea di non essere determinato: ma in tale idea si esprime, se ci si pensa bene, l’idea del nulla. Il semplice essere e il semplice nulla sembrano così coincidere. Questo essere deve divenire. Il “divenire” è appunto il terzo principio della logica hegeliana. Dopo aver analizzato le categorie dell’essere in generale, del nulla e del divenire, H. passa ad esaminare quella dell’essere determinato. In effetti il divenire non si comprende se non come divenire di qualcosa. Ma il qualcosa è sempre un’entità finita, che non si può comprendere se non in riferimento ad altro, o in relazione ad una propria infinita possibilità di essere. Essere, non-essere, e divenire costituiscono la categoria della qualità; l’essere determinato che costituisce il loro risultato implica la categoria della quantità. La qualità determina l’essere interiormente, la quantità lo determina esteriormente: il rapporto qualità-quantità costituisce la misura, che è la terza ed ultima categoria della logica dell’essere. Dall’essere immediato si passa ad una riflessione dell’essere su se stesso. Alla “logica dell’essere” segue la “logica dell’essenza”, nei suoi tre momenti della riflessione, che separa l’essenza dall’essere, del fenomeno, che riduce a semplice apparenza l’essere scisso dall’essenza, e della realtà in atto, che esprime l’unità dell’essenza con le sue manifestazioni fenomeniche. A questo punto l’essere, arricchito di tutte le sue determinazioni e quindi divenuto realtà in atto, si rivela come concetto. La “logica del concetto” che corona l’edificio della logica hegeliana, si articola anch’essa in tre momenti: la soggettività (che è il campo della vecchia logica formale, del pensiero considerato indipendentemente dal suo contenuto e che si suddivide nel concetto logico, nel giudizio e nel sillogismo), l’oggettività (cioè i principi dell’interpretazione concettuale della natura secondo le categorie del meccanicismo, del chimismo e della teologia) e infine l’Idea, come sintesi di soggettività e oggettività, meta ultima del processo. L’Idea è il concetto che si è autorealizzato pienamente e quindi la totalità dei momenti di questa realizzazione, vista come processo e risultato dialettico. L’Idea, dunque, è la totalità delle categorie della logica e dei loro nessi dispiegati. Il concetto è, al tempo stesso, l’assolutamente concreto e lo è in quanto contiene in sè in unità ideale l’essere e l’essenza, e quindi l’intera ricchezza di queste due sfere. La dialettica hegeliana è infatti strettamente connessa alla nozione di sviluppo che tende al concreto mediante il superamento dell’astrattezza insita in ogni opposizione. Concreto, per H., è ciò che rappresenta il compimento di un processo, l’unità di opposti, l’uno bisognoso dell’altro per realizzarsi: da ciò consegue che la realtà si attua in un processo dove termini opposti si negano reciprocamente e si integrano in una nuova e più ricca unità. Si tratta di comprendere la funzione feconda e insopprimibile della contraddizione come legge di sviluppo della realtà e non come semplice negazione estrinseca. Pertanto la logica hegeliana si contrappone alla logica tradizionale, fondata sul principio di identità e di non contraddizione, e considerata non in grado di giungere alla mediazione, ossia a cogliere l’unità degli opposti nella loro sintesi. Sintetizzando, la logica hegeliana si divide in tre parti: la dottrina dell’Essere, che riguarda il pensiero nella sua immediatezza, il concetto in sé; la dottrina dell’Essenza, che concerne il pensiero nella mediazione, il concetto in quanto appare, in quanto diventa per sé; la dottrina del Concetto, che riguarda il pensiero tornato a sé attraverso la mediazione, il concetto in sé e per sé. Solo nel Concetto si trova la verità dell’Essere e dell’Essenza. La logica hegeliana non è quindi una semplice analisi formale dei termini, categorie e giudizi, ma è un sapere oggettiva perché ha come contenuto il vero Assoluto, l’Idea come unità di concetto e di realtà. Secondo H. occorre eliminare il pregiudizio che la dialettica abbia un risultato soltanto negativo: la negazione dialettica non è mai assoluta, ma è sempre la negazione di un limite che provoca il superamento di esso, conservandone gli aspetti positivi.

FILOSOFIA DELLA NATURA

La filosofia della natura rappresenta il secondo momento dello sviluppo dell’Idea, che esce dalla sua purezza originaria (momento della Logica, che rappresenta la scienza dell’idea pura) divenendo natura. Infatti, lo schema dialettico hegeliano si esprime nei tre momenti dell’IDEA come TESI, della NATURA come ANTITESI e dello SPIRITO come SINTESI. Pertanto la NATURA è vista da H. come l’IDEA nella forma dell’essere altro, la negazione dell’idea, l’Idea che esce fuori di sé. La filosofia della natura, nella riflessione hegeliana , è un’esplorazione dei molti modi in cui un ente naturale si organizza come tale; ed è una ricognizione dei molti significati possibili della dimensione natura; è la teoria dello sviluppo della natura nei suoi tre gradi. La natura è il dominio dell’esteriore, dell’ente fisico determinato, soggetto a leggi universali, necessarie ed eterne. La natura –scrive Hegel- non mostra nella sua esistenza, libertà alcuna; ma solamente necessità ed accidentalità. Per H. essa costituisce una totalità vivente, in quanto la serie dei suoi gradi ha come scopo interno e necessario –anche se, ovviamente, inconsapevole- il ritorno dell’Idea a sé stessa nello Spirito. Così, dal grado massimo di esteriorità e di opposizione all’Idea che si riscontra nella materia informe, attraverso la corporeità come materia dotata di forme specifiche si giunge all’organismo vivente che è la forma più alta della natura, la soglia da cui prende le mosse lo Spirito. La filosofia della Natura ha tre sfere fondamentali che stanno tra loro in rapporto dialettico:

1)la MECCANICA, che concerne la natura come materia priva di forme, come esteriorità spazio-temporale;

2)la FISICA, che concerne la natura come materia ormai determinatasi in forme naturali, come i corpi fisici dotati di certe proprietà (es. peso specifico, suono, calore);

3)l’ORGANICA, che concerne la natura come vita dove ogni individualità corporea non solo ha una forma specifica, ma ha una tendenza interna a realizzarla come totalità concreta, ossia come organismo in cui le parti sono connesse tra loro. Il fine immanente dell’organizzazione naturale è la vita. Il senso ultimo dell’esistenza naturale è oltre di essa e va ricostruito a livello diverso: al livello dello spirito. Lo spirito è la verità della natura. Hegel insiste molto sul momento di negatività costituito dalla natura, che è “decadenza dell’idea da sé”. Il filosofo tedesco non mostra alcuna simpatia per la natura, superando la visione rinascimentale e romantica di essa. Alla tesi secondo cui un piccolo evento naturale come un fiore o una pagliuzza possono farci conoscere la Verità e Dio, Hegel contrappone la tesi secondo cui il più piccolo evento dello spirito ci fa conoscere la Verità e Dio in modo superiore, e che perfino il male che l’uomo compie è addirittura infinitamente superiore ai moti degli astri e all’innocenza delle piante, in quanto il male è un atto di libertà, la quale costituisce l’essenza dello spirito.

FILOSOFIA DELLO SPIRITO
La Filosofia dello Spirito è la descrizione del processo attraverso cui si sviluppa la consapevolezza che l’Assoluto ha di sé. Ciò avviene in tre momenti: lo spirito è dapprima soggettivo (cioè individuale), poi oggettivo (sociale o sovraindividuale); infine assoluto (quando è consapevole di sé e conosce se stesso nelle forme di arte, religione e filosofia). Si badi: mentre nella natura i vari gradi o momenti sono uno accanto all’altro (il mondo vegetale sussiste insieme a quello animale), nello spirito ogni grado è compreso e risolto in quello superiore che, a sua volta, è già presente nel grado inferiore (ad esempio l’individuo è compreso nella società, la quale è composta da individui).

SPIRITO SOGGETTIVO
Si ricordi solo che è diviso nei soliti tre momenti : antropologia, fenomenologia e psicologia. La libertà è la più alta manifestazione dello spirito soggettivo, che è adesso pronto ad entrare in relazione con gli altri e quindi a diventare spirito oggettivo.

SPIRITO OGGETTIVO
La libertà dello spirito si realizza nelle istituzioni sociali concrete che sono DIRITTO, MORALITA’ ED ETICITA’.

DIRITTO. Il diritto ovvero la legge si attua quando la volontà si conforma liberamente alle leggi. L’individuo viene visto dal diritto come persona, cioè come soggetto che ha diritti e doveri. La persona trova il suo primo compimento in una cosa esterna che diventa di sua proprietà. Ma la proprietà è tale solo in virtù del reciproco riconoscimento fra le persone, ossia il contratto. La violazione del contratto può culminare nel delitto, che esige una pena adeguata, la quale ripristini il diritto violato. Il diritto è però una legge esteriore, che l’individuo non riconosce come propria. Da qui il passaggio al momento successivo, la moralità.

MORALITA’. E’ quando la legge diventa interiore, viene sentita come propria, come un dovere da adempiere. La moralità ha però il difetto di mantenere comunque il distacco fra l’essere e il dover essere: le intenzioni non sono sempre realizzate e dunque il vero bene non è ancora perfettamente raggiunto, come sarà nell’ultimo momento, quello dell’eticità.

ETICITA’. L’eticità è il superamento della scissione fra interiorità ed esteriorità, tra la soggettività ed il bene; essa implica l’inserimento attivo dell’individuo in una comunità e la sua collaborazione con gli altri, in vista del bene comune. Essa si attua concretamente nelle istituzioni storiche concrete della famiglia, società civile e Stato.

Famiglia. Non è per Hegel una semplice società naturale ma una istituzione, cioè una creazione dello spirito dotata di grande valore etico. Essa è un’unità spirituale, fondata sull’amore e sulla fiducia dei suoi membri.

Società civile. E’ l’antitesi della famiglia perché in essa i rapporti sono conflittuali, essendo un "sistema di bisogni", il che implica allora l’amministrazione della giustizia, un corpo di polizia e le corporazioni, necessarie per l’ordine e la sicurezza. Essa è una società di privati, che operano per fini particolari.

Stato. E’ l’istituzione in cui si risolvono i conflitti della società civile, in cui l’interesse privato coincide con l’interesse pubblico. Viene definito da Hegel come "la sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile". Quali caratteristiche ha lo Stato per Hegel? Esso non vuole essere è liberale (Locke, Kant ecc.) nel senso che non vede nello Stato lo strumento che deve garantire la sicurezza e i diritti dei privati, né Hegel lo vede come un tutore dei particolarismi della società civile. Non vuole neppure essere democratico per cui la sovranità dovrebbe risiedere nel popolo (Rousseau). Per Hegel invece la sovranità dello Stato deriva dallo Stato stesso, che ha in sé la propria ragione d’essere, il che significa che lo stato hegeliano non è fondato sugli individui ma sull’idea di Stato, cioè sul concetto di un bene universale. E’ lo Stato che fonda gli individui: sia in senso cronologico-storico-temporale (esso viene prima degli individui; gli individui nascono già all’interno di uno Stato), sia in senso ideale-assiologico (lo Stato è superiore agli individui come il tutto alle parti). Lo Stato hegeliano, comunque, pur essendo assolutamente sovrano, non è dispotico o illegale perché anzi deve operare con le leggi; è uno Stato di diritto (Rechtstaat), fondato sul rispetto delle leggi e sulla salvaguardia della libertà e della proprietà. In questo Stato, la costituzione migliore è quella monarchico-costituzionale, con la tripartizione dei poteri in legislativo (affidato ai rappresentanti dei vari ceti o stati sociali; stati o ceti sociali da non confondere con le classi sociali antagonistiche dei proletari e capitalisti di cui parlerà Marx), esecutivo (affidato al governo) e sovrano (esercitato dal monarca). Nel sovrano si incarna l’unità dello Stato ed a lui spetta la decisione ultima circa gli affari della collettività. Il vero potere politico è quello del governo. Lo Stato è in ultimo per Hegel la "volontà divina" ovvero "l’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato". E come vita divina che si realizza nel mondo, lo Stato non può trovare nella morale un limite alla sua azione. Il solo giudice ed arbitro sarà lo Spirito Universale cioè la Storia, che ha, come suo momento strutturale, anche la guerra ! essa non è solo necessaria ed inevitabile, ma preserva gli uomini – dice Hegel – dalla fossilizzazione a cui li ridurrebbe una pace durevole. In questo Stato, si ricordi, non vi è il potere giudiziario perché è demandato alla società civile.
In conclusione, Hegel è "semplicemente un conservatore, in quanto pregia più lo stato che l’individuo, più l’autorità che la libertà"(N. Bobbio, Studi hegeliani, Einaudi).


LA FILOSOFIA DELLA STORIA
"Il grande contenuto della storia del mondo è razionale e razionale deve essere: una volontà divina domina poderosa il mondo". Il fine della storia del mondo è che lo Spirito giunga alla sua piena realizzazione e libertà. Lo Spirito che si manifesta nella realtà storica è lo Spirito del Mondo, il quale si incarna nei vari spiriti dei popoli che si succedono all’avanguardia della storia. I mezzi della storia del mondo sono gli individui, con le loro varie passioni. E poiché lo Spirito del Mondo è sempre lo spirito di un popolo particolare, l’azione dell’individuo sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo spirito del popolo a cui l’individuo appartiene. Gli eroi o veggenti sono caratterizzati dal successo. Resistere ad essi è cosa vana. Sembra che tali individui (come Alessandro Magno, Cesare, Napoleone ecc.) non seguano altro che la loro passione e/o ambizione. In realtà, questa è una Astuzia della Ragione (List der Vernunft) che si serve di tali individui come mezzi per attuare i propri fini. E quali sono i suoi fini? Il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione della libertà dello Spirito. Se la libertà si realizza nello Stato, la storia del mondo sarà la successione delle forme statali. I tre momenti di essa sono : il mondo orientale, in cui uno solo, il monarca, è libero; il mondo greco-romano in cui sono liberi alcuni; il mondo cristiano-germanico, in cui tutti sono liberi.

SPIRITO ASSOLUTO
E’ il momento in cui l’Idea giunge alla piena consapevolezza della propria infinità e assolutezza, cioè che tutto è Spirito e non vi è nulla al di fuori dello Spirito. Questo conoscersi come Assoluto non è qualcosa di immediato (Hegel critica l’immediatezza dell’intuizione e del sentimento: sotto questo aspetto non è romantico) ma è il risultato di un processo dialettico rappresentato dai tre momenti dell’arte, della religione e della filosofia. esse si differenziano tra loro per la forma in cui ciascuna di esse presenta lo stesso contenuto, che è l’Assoluto. L’arte conosce l’Assoluto nella forma dell’intuizione sensibile, la religione come rappresentazione, la filosofia come puro concetto. Vediamo meglio.


Arte. L’opera d’arte è sempre qualcosa di sensibile (oggetto materiale, suono, parola ecc.) e dunque nell’arte l’uomo acquista consapevolezza di sé mediante le forme sensibili. Nell’arte lo spirito vive in maniera immediata e intuitiva il rapporto tra il soggetto e l’oggetto, lo spirito e la natura, che la filosofia teorizza, sostenendo che la natura non è che una manifestazione dello spirito. La storia dell’arte si svolge in tre momenti: l’arte simbolica dei popoli orientali, i quali fanno ricorso al simbolo perché non riescono ad esprimere lo spirito secondo adeguate forme sensibili; vi è poi l’arte classica, che è caratterizzata dall’equilibrio fra contenuto spirituale e forma sensibile, attuato mediante la raffigurazione della figura umana; infine vi è l’arte romantica, in cui lo spirito prende coscienza che qualsiasi forma sensibile è insufficiente per esprimere adeguatamente l’interiorità spirituale e provoca la crisi dell’arte. Hegel parla, a questo riguardo, della futura "morte dell’arte" nel senso che il suo ruolo di ponte intuitivo verso l’Assoluto è destinato a venir meno di fronte al dispiegamento del vero da parte della filosofia, la sola che può cogliere l’Assoluto nel suo elemento proprio, la razionalità dialettica. Se infatti l’Assoluto è una totalità dialettica, esso è il risultato di un processo, di una mediazione, che è il contrario della immediatezza sensibile. Per questo l’arte rimane al gradino più basso fra le diverse forme del sapere.

Religione. Nella religione "l’Assoluto è trasferito dall’oggettività dell’arte nell’interiorità del soggetto". Il che vuol dire che nella religione è essenziale il rapporto fra la coscienza e Dio : tale rapporto è dato dalla fede. Ma se è così, allora la fede non è in grado di giustificare la certezza che prova nell’esistenza di Dio. Il modo tipicamente religioso di pensare Dio è la rappresentazione intellettuale, che è a metà strada fra l’intuizione sensibile dell’arte ed il concetto della filosofia. Permangono nella rappresentazione religiosa le differenze fra Dio creatore e creatura, in modo che l’Assoluto non è pienamente compreso ma rimane ancora il mistero. L’esigenza verso l’unità di creatore e creatura viene sentita solo sul piano del culto, cioè sul piano pratico, non concettuale.

Filosofia e storia della filosofia. Con la filosofia siamo arrivati al momento conclusivo dello spirito assoluto, in cui vi è unità di arte e religione. In essa l’Assoluto è conosciuto nella forma del concetto, nella forma più perfetta. L’Assoluto può finalmente conoscersi e così l’Idea pensa se stessa, la verità assoluta e intera. In quanto è però pensiero giunto alla consapevolezza di sé, la filosofia non può che essere il risultato di un processo di sviluppo che ha come soggetto la realtà nella sua concretezza. In altri termini, la filosofia è un processo storico e quindi si identifica con la stessa storia della filosofia. I vari sistemi filosofici precedenti la filosofia hegeliana sono le varie tappe del farsi della verità, che superano ciò che precede e sono superati da ciò che segue. "La storia della filosofia mostra, da una parte, che le filosofie, che sembrano diverse, sono una medesima filosofia in diversi gradi di svolgimento; dall’altra, che i principi particolari di cui ciascuno è a fondamento di un sistema, non sono altro che rami di un solo e medesimo tutto. La filosofia, che è ultima nel tempo, è insieme il risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di tutte: essa è perciò … la più sviluppata, ricca e concreta" (cfr. Enciclopedia, par.13). Con ciò il ciclo cosmico della conoscenza e della realtà si chiude.


CRITICA DELLE FILOSOFIE PRECEDENTI

HEGHEL E GLI ILLUMINISTI: Hegel rifiuta il pensiero degli illuministi in quanto gli illuministi, facendo dell’intelletto il giudice della storia, sono costretti a ritenere che il reale non è razionale. La ragione degli illuministi esprime solo le esigenze e le aspirazioni degli individui: è una ragione finita e parziale che pretende di dare lezione alla realtà e alla storia mentre la realtà è sempre necessariamente ciò che deve essere. (intelletto astratto)

HEGEL E KANT: kant aveva voluto costruire una filosofia del finito, e l’antitesi tra il dover essere e l’essere fa parte integrante di una tale filosofia. L’essere non si adegua mai al dover essere, la realtà alla razionalità. Secondo Hegel questa adeguazione è in ogni caso necessaria. A Kant, Hegel rimprovera anche la pretesa di voler indagare la facoltà del conoscere prima di procedere a conoscere.

HEGEL E I ROMANTICI: Hegel è un critico severo nei confronti dei romantici dai quali subì un influenza artistica. In primo luogo , Hegel contesta il primato del sentimento, dell’arte o della fede, sostenendo che la filosofia, in quanto scienza dell’Assoluto, non può che essere una forma di sapere mediato e razionale. In secondo luogo, Hegel contesta gli atteggiamenti individualistici dei romantici, affermando che l’intellettuale non deve narcisisticamente ripiegarsi sul proprio io o invocare le leggi del cuore, ma tener d’occhio soprattutto l’oggettivo corso del mondo, cercando di integrarsi nelle situazioni socio-politiche del proprio tempo. Hegel risulta profondamente partecipe del clima culturale romantico, condivide soprattutto il tema dell’infinito. Hegel non costituisce un superamento del Romanticismo, ma solo il diverso esito di una determinata direzione di sviluppo della cultura romantica.

HEGEL E FICHTE: Hegel muove a Fichte due rilievi fondamentali. In primo luogo accusa il soggettivismo di Fichte di non riuscire ad assimilare adeguatamente l’oggetto, ovvero di ridurlo a semplice ostacolo esterno dell’Io, con il rischio di un nuovo dualismo tra spirito e natura, libertà e necessità. Ma in tal modo il finito è lasciato in un progresso all’infinito che non raggiunge mai il suo termine. Questo progresso all’infinito è, secondo Hegel, il falso o cattivo infinito o l’infinito negativo; non supera veramente il finito perché lo fa continuamente risorgere, ed esprime soltanto l’esigenza astratta del suo superamento. (processo dinamico attribuibile all’infinito)

HEGEL E SCHELLING: Hegel critica Schelling perché quest’ultimo concepisce l’Assoluto in modo a-dialettico cioè come un’unità indifferenziata e statica. Infatti Hegel critica crudelmente il concetto schellinghiano dell’Assoluto come identità o indifferenza, ravvisando in esso un abbisso vuoto nel quale si perdono tutte le determinazioni concrete della realtà, e paragonandolo alla notte nella quale tutte le vacche sono nere.

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